Francesco Rossetti
Devastazioni londinesi

Ho cominciato a farmi il secondo giorno. Ero al mio primo lavoro mal
pagato, di quelli che dietro di te ci sarebbe la fila per farlo. Non la
smettevo di fare domande, come un giornalista, era il mio modo di fare
conoscenza. È normale pagare subito due mesi d’affitto, appena
arrivati? Dove posso comprarmi camicia e farfalla per il lavoro? Per
raggiungere Highbury a piedi, mi conviene Essex Road? Dai nuovi
compagni di lavoro solo risatine evasive e poi chiacchiere tra loro, per
me incomprensibili, e facce candidamente indifferenti.
Quando mi sono fatto, la tv era accesa e al telegiornale parlavano dei
risultati elettorali in Francia, di qualche flessione dei titoli azionari e
delle previsioni del tempo. Nella mente fu una devastazione, un ciclone
passato come una falciatrice in un giardino di erba e fiori. Per un po’
non ricordavo più chi fossi, potevo essere qualsiasi cosa. Allo specchio
mi venne da chiedere: come mi chiamo io? Fuori pioveva, ma dalla
finestra mi sembrava di non aver mai visto la pioggia. Ogni due secondi
controllavo che esistessi davvero, e che tutto procedesse senza intoppi.
Mi ero fatto perché ero davvero scentrato. Sbarcato a Londra il mattino
presto, con i soldi contati in una tasca interna legata al corpo. Avevo
notato che il viaggio era durato un'ora di troppo. Errore: era il fuso
orario diverso, non avevo rimesso indietro l’orologio. Per prima cosa
ero corso all’agenzia per confermare la stanza, scoprii che l'avrei
condivisa con un libico di cui non ricordo più il nome. Siccome era
ancora vivo Gheddafi e non piaceva agli inglesi, il libico mi disse subito
che lui usciva pochissimo perché temeva di venire espulso. Lo stesso
primo giorno avevo trovato lavoro fortunosamente, dopo un colloquio
surreale durante il quale rispondevo sempre sì a domande che non
capivo. Il manager mi disse di cominciare subito e una ragazza seduta a
un tavolino mi sorrise. Ci baceremo un giorno, le avevo chiesto
mentalmente.
Londra per me significava l’estate della maturità: vagare per librerie,
cinema e biblioteche, abbuffarsi di carta stampata, camminare tra flussi
di persone, scoprire i droghieri pachistani aperti h24 e sostare davanti a
vetrine con gli schermi televisivi accesi.
Il manager del locale – quello che mi aveva assunto al volo, poche ore
prima, perché credeva che sapessi fare i caffè e i cappuccini – mi fermò
sulla scala del retro che portava in cucina. Sottobraccio teneva una
cartella di scartoffie e una rivista per adulti in bella vista.
Ok, basta per oggi, vai a casa. Listen, sei bravo a scrivere?
Mi hai detto che hai studiato, no?
Ero troppo concentrato ad afferrare il senso delle sue parole per
rispondere sì o no. E lui proseguì.
Good, allora dovresti scrivere una lettera ai nostri clienti
italiani, please, dirgli che noi facciamo la pasta più buona,
the best one. Poi la battiamo a macchina e la mettiamo in
una cornice e l’appendiamo. Eh, che ne dici? Ti pagherò
un extra per questo. Mi serve per domani, ok?
Il senso complessivo era questo, almeno credo. La commissione mi
mise nella condizione di essere vivo. Ne avevo bisogno in quelle
primissime ore. La sera, nella nuova camera, con il libico seduto alla
sua scrivania e la tv accesa sulle notizie dai mercati finanziari, provai a
buttar giù qualche riga. Dalla strada sentivo gente che andava e veniva.
Il colletto del maglione mi provocava prurito in gola.
“Cari italiani, Londra è piena di posti dove andare, ma se credete a
quello che vi racconto, e non sono un bugiardo, la migliore pastasciutta
al dente di tutto il regno la trovate in questo locale, dal servizio
eccellente e pieno di gente amichevole. Io sono fra questi, anche a me
piace mangiar bene, nel caso ve lo steste chiedendo. Siate ottimisti, c’è
speranza per una pasta come si deve...”
Continuai a scrivere e mi sentivo come John Fante, o come un
giornalista che deve finire il suo pezzo entro mezz'ora, costi quel che
costi. Il mattino dopo ero pronto come non mai, tirato a lucido. Alzati
dal letto, scemo, mi ero detto al suono della sveglia, dovrai camminare
un bel po'.
Salutai il libico... mi dispiace perché ho proprio cancellato il suo nome,
ma dopo tanto tempo... Arrivai a destinazione e proprio lì, accanto
all'Empire, era tutto transennato e c’era la polizia. Il locale era stato
devastato da teppisti: avevano scritto sui muri e rovesciato i tavolini.
Non vidi il manager e non trovai nessuno dei colleghi, mi sembrava una
scena irreale e di colpo mi mancavano le forze. Ero preoccupato. Ma
come, m'invento un lavoro e non faccio in tempo a cominciare!
Fu allora che la ragazza sorridente del giorno prima, quella del
tavolino, si materializzò, mi chiese solo il nome e mi disse di seguirla.
Aveva i capelli lunghi e insisteva con un sorriso simpatico che mostrava
una dentatura messa male. Mai saputo come si chiamasse. Entrammo in
una porta qualche centinaio di metri più avanti, imboccammo un
corridoio che portava sul retro. Lì mi mise in mano un pezzettino di
qualcosa, avvolto nella pellicola trasparente. Mamma mia, che stupido
ero, mi sembrava di essere un personaggio dentro a un film romantico­
avventuroso! Ma ero così giù che quel gesto sembrava prestarmi del
coraggio. Mi vergognavo della precarietà della mia condizione senza
rete in una metropoli e perché non avevo ancora chiamato nessuno in
Italia per dire che ero arrivato e stavo bene.
Sai cosa succederà al locale ora? Quanto ti devo?
Domande, sapevo esprimermi solo a interrogativi.
Oddio mio, lascia perdere, fregatene, i proprietari sono...
questo è un regalo, il manager è nella merda, shame on
him...
Sorrideva e mi sentii già contento che mi sorridesse e osservai lo
scheletro muoversi sotto al suo sorriso, mentre parlava.
Tu prova a ripassare domani, conosco altri locali che
cercano.
Tornai verso casa a piedi, con quella piccola pillola avvolta nella plastica
trasparente, pensando a come avrei raccontato un giorno quella storia,
e lungo Caledonian Road ero ancora un po’ disperato, mentre già
all’altezza della metro di Highbury ero talmente carico di esaltazione e
progetti che non mi accorgevo della pioggia.
Entrai e la stanza era vuota. A quanto pare il libico usciva, ogni tanto.
Accesi la tv e preparai l'acqua per il tè. Gettai il pezzettino nel cestino.
Dieci minuti dopo era nel mio stomaco.


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