Gianfranco Mammi
Un inverno come dio comanda

Ormai molto vicino alla sessantina, il signor Righetti si accorgeva che
ogni autunno gli toccava comperare una coppola nuova perché tutte
quelle che aveva gli andavano strette, lasciandogli anche dei segni sul
cuoio capelluto. La prima volta non ci aveva fatto nemmeno tanto caso,
ma già a partire dal secondo autunno si era posto il problema: erano le
coppole che si restringevano – magari per colpa della lavanderia – o
era la sua testa che si allargava? A forza di pensare alla pensione che
invece di avvicinarsi si allontanava, caso mai?
Sua moglie gli diceva di non fare lo stupido, che le coppole non si
restringono a lavarle a secco e le scatole craniche non si allargano,
dopo i cinquant’anni, perché le ossa del cranio sono ormai ben saldate
da un bel pezzo. Allora Righetti le faceva vedere le coppole degli ultimi
tre anni, ed erano tutte in scala via via più grande, sebbene di poco. La
signora però rimaneva scettica, e lasciava la stanza mormorando
“Chissà che cosa avrai combinato, con quelle povere coppole”.
Queste sono risposte che fanno uscire dai gangheri anche i mariti più
normali, e Righetti era un marito poco normale; allora ha preso su la
moglie e l’ha portata al mercato, dove tra altre piccole cose (per sé, per
la moglie, per l’auto e per la casa) ha acquistato anche due coppole
identiche, che gli stavano a pennello.
“Una la chiudo nell’armadio e non la metto né la porto in lavanderia
fino al prossimo autunno”, diceva poi alla moglie che lo guardava un
po’ stranita. “Quest’altra invece la porterò tutti i giorni. Tra un anno poi
vediamo la differenza; bisogna procedere con metodo scientifico!”
Ma la moglie aveva una mentalità molto più scientifica di Righetti e
appena arrivati a casa l’ha portato in cantina dove c’era un vecchio
attrezzo di legno che aveva ereditato da suo nonno: un grande calibro
che serviva a misurare il diametro dei tronchi d’abete rosso che il
nonno commercializzava per farne pallet e cassette per la frutta.
“Sei sicura che vada bene anche per le teste umane?” le chiedeva
Righetti, a sua volta un po’ stranito. Era anche preoccupato dalle
dimensioni dello strumento, che gli pareva sproporzionato visto che lui
era molto più sottile di un abete rosso maturo per il mercato dei pallet
e delle cassette per la frutta.
“Va bene per misurare qualsiasi cosa che abbia un diametro da cinque
centimetri a un metro e mezzo”, replicava secca la moglie di Righetti,
che dal nonno non aveva ereditato solo il calibro di legno ma anche un
certo piglio piuttosto sbrigativo. Allora, sia pure di malavoglia, Righetti
si lasciava misurare la testa con il calibro per gli altofusti, ottenendo i
seguenti risultati: per il lungo, il diametro del suo cranio risultava di
ventitré virgola due centimetri, mentre per il largo era solo di
diciannove. Righetti si rifiutava di sottoporsi anche al rilevamento in
diagonale, così la moglie segnava le due misure sul muro della cantina
con un grosso lapis di quelli rossi che usano i muratori.
“Se le scriviamo su un foglietto, nel giro di un anno lo perdiamo di
sicuro”, spiegava.
“Sì, va bene”, rispondeva Righetti, “ma sbrighiamo a uscire da qui che
c’è un bel freddo.”
Un paio di giorni dopo, però, mentre lavorava alla macchina per cucire,
la signora vedeva il nipotino Claudio che per gioco si faceva una corona
da re attorcigliandosi il metro anelastico da sarto sopra alle orecchie;
allora le veniva una bella idea e chiamava subito Righetti per prendergli
la misura della circonferenza cranica, che risultava di cinquantasette
virgola otto centimetri, nel punto più largo. Poi andava in cantina per
segnare anche questo dato con il lapis.
Quella sera il nipotino Claudio, che aveva assistito al rilevamento,
diceva ai genitori che i nonni avevano cominciato a comportarsi in
modo strano: si mettevano un metro da sarto attorno alla testa e poi
andavano in cantina a scrivere sui muri. Un buon figlio si preoccupa a
sentire certe cose, e il figlio di Righetti era un figlio buonissimo, così un
paio di giorni dopo è capitato come per caso a trovare i genitori; a
tempo debito, parlando del più e del meno, accennava prudentemente
a problemi psicosomatici che possono intervenire attorno ai
sessant’anni, ma i due genitori non capivano.
“C’è qualcuno che non sta mica bene?” s’informava Righetti, che aveva
molti amici coetanei e anche più anziani.
“È finalmente venuto un colpo alla Cherubini?” chiedeva invece la
moglie che non amava i discorsi generici.
Dopo un po’ di tira e molla, finalmente la questione si è chiarita. Anche
il figlio di Righetti tendeva a sdrammatizzare sull’allargamento del
cranio di Righetti, poi se ne andava via abbastanza contento perché ci
aveva guadagnato tre coppole che al padre non andavano più bene;
aveva infatti il cranio più piccolo di quello di Righetti – e anche più
stabile.
Ma Righetti si preoccupava sempre di più per l’instabilità della propria
testa; sarà stata l’autosuggestione, ma ora gli pareva addirittura di
sentirsela crescere – soprattutto di notte. Da cosa poteva dipendere?
Dopo molto rimuginare Righetti s’era convinto che dipendeva dalle
abitudini degli altri condomini, che per risparmiare sulla bolletta
facevano tutti andare la lavatrice alle ore più assurde. Non era un
rumore insopportabile – anzi era tenue, ovattato, quasi carezzevole
perché veniva da lontano attraverso molti muri; infatti la moglie si
addormentava e dormiva senza problemi – bella forza, lei non aveva
mica la testa in espansione, pensava Righetti; e mentre, di notte,
seguiva i ghirigori acustici delle lavatrici altrui – i primi vagiti dopo
l’accensione, i ronzii dei differenti programmi di lavaggio che ormai
aveva imparato a riconoscere e poi infine la pazza tarantella della
centrifuga – gli venivano delle idee formidabili che non aveva mai
avuto prima, come per esempio quella di inventare una bicicletta che
quando ne scendi poi ti segue da sola come fanno i cavalli; altra prova
indubitabile, secondo Righetti, che il cranio gli si stava ingrossando.
E quando al mattino arrivava in ufficio, mezzo stravolto per tutte quelle
idee anomale che l’avevano martellato per larga parte della notte, i
colleghi lo guardavano strano per via delle occhiaie che gli erano
venute; mentre a lui pareva che osservassero il suo cranio come se si
fosse allargato di due o tre centimetri almeno. Con il suo medico non
osava parlare, per paura di essere preso in giro a causa di quella che
poteva essere scambiata per una pura ossessione, mentre invece era un
fatto oggettivo; e non trovava di meglio, per calmarsi, che misurare la
circonferenza cranica di nascosto dalla moglie, con un metro da sarto
che aveva comperato apposta e che si portava dietro anche in ufficio.
Ogni volta che andava in bagno faceva un rapido controllo, e rimaneva
stupito nel constatare che tutto sommato la sua testa non era cresciuta
affatto, nonostante due mesi di lavatrici notturne. Però dopo i
festeggiamenti di natale e capodanno cominciava a notare un certo
incremento, uno o due millimetri in più, cosa che lo preoccupava
seriamente. Che fosse dipeso dal troppo mangiare e bere? Era
probabile, e si riprometteva di seguire una dieta più moderata a partire
da subito. Però un sabato pomeriggio di fine gennaio, mentre faceva da
badante al nipotino Claudio, guardando un documentario su L’urlo di
Munch, succedeva che al bambino veniva da dire con grande
entusiasmo: “Nonno, guarda! È il tuo ritratto!”
La voce dell’innocenza l’aveva distrutto in una frazione di secondo, e a
Righetti veniva una gran voglia di buttarsi dalla finestra sotto gli occhi
della moglie che rideva di gusto; ma il nipotino Claudio veniva a
mettersi sulle sue ginocchia e lo guardava in faccia con ammirazione –
pareva molto contento di avere un nonno talmente famoso che
facevano vedere il suo ritratto alla tivù.
Fuori nevicava fin dal mattino perché dopo tanti anni era arrivato un
inverno come Dio comanda, e lo smog della pianura si era tutto
squagliato sull’asfalto. Adesso veniva giù appena un nevischio secco e
leggero – l’ideale per andare in cortile a fare un pupazzo di neve
grande come una casa.


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