Luciana Grassi
Ossessione

Amo quella scena dei Promessi Sposi in cui la purezza della suora è
rappresentata dal non lasciare alcun alone sul bicchiere da cui beve.
Nello specchio mi vedo pelle e ossa, viso scarno, zigomi in vista e
capelli troppo ricci a coronare occhi infossati in occhiaie viola.
Sono entrata nella meravigliosa cripta dove decine di piccole colonne
snelle sorreggono il pavimento su cui camminano grassi turisti. Grate e
luce soffusa e, in una piccola sala, una tomba di pietra e vetro, un Santo
vestito in abiti vescovili, rosso, bianco, oro. Un abito vuoto, rigidamente
appoggiato a ossa svuotate di qualsiasi midollo. Un teschio lavato e
forato vestito da una mitra. Orbite, guance e bocca bucate. Non mi
guarda, non è lì, non esiste più: lavato, succhiato e bevuto nei secoli.
Solo ossa ormai grigie, di pietra come la cripta intera.
Quando le guardo sento il midollo nelle mie ossa farle vivere, i nervi e i
muscoli tenderle e muoverle, la pelle proteggerle. Si sono rotte e
riaggiustate da sole, rinsaldate insieme, miracolo della natura, forza
vitale e voglia di vivere. E i miei denti forti, grandi, pronti a rompere e
masticare, scheggiati ma mai rotti. Lo scheletro che mi sostiene è vivo e
forte, non vorrei mai santificarlo, lavargli via la vita per esporlo,
piuttosto macinarlo e concimarci la terra.
Pelle e ossa così devo essere, per forza, nonostante la carne e i muscoli.
Col cibo nutro le ossa, le posso vedere, bianche e forti, resistenti a tutti
gli urti a cui le sottopongo.
Ogni mese una reliquia diversa, mi faccio questo regalo il 15 di ogni
mese: ossa conservate da pregare, ossa che ornano chiese, teschi a cui
crescono capelli, ossa bianche e gialle, teschi consumati dalle mani che
li toccano, pregati e rubati, buttati via e denigrati, pelle di carta che
ricopre ossa malformate, spezzate in vita e esposte.
Sono come le pietre del nostro pianeta personale, rimarranno qui
molto più a lungo di noi.
In alcune rimane un alito di vita, sono poche, nei luoghi più
sconosciuti. Quando le trovo le disegno sul mio taccuino, cerco di
fermarne le ombre e le sfumature, di cogliere cosa le renda ancora
presenti: un'orbita non del tutto vuota, una lingua mummificata, la
pelle accartocciata. Non è quello, o meglio non solo. Quello è il
risultato di una morte inaspettata o non accettata.
Eppure, oggi, quel Santo vuoto, pulito, mi rigira in testa col suo teschio
di pietra, così puro in una città che odora di grasso e unto in ogni
angolo. Ho seguito quell'odore, come spinta da una forza esterna,
l'odore di grasso caldo mi ha fatto salire le scale e lì mi hanno fatto
sedere a un tavolo: bocche che masticavano, bevevano e parlavano.
Carne nei piatti, carne sulle ossa sottili, troppa da spezzarle.
Ho visto le mie dita prendere del pane, dita grasse, le ossa ormai
nascoste da tanta carne, impedite nei movimenti da tanto grasso. Mi
sono toccata il viso cercando gli zigomi ma ho trovato solo una guancia
gonfia e soffice. La mia bocca masticava e ingoiava e non ho potuto fare
a meno di riempire la pancia, solo quando l'ho sentita rotonda e
turgida sono andata via.
Sconvolta e rallentata, sono rientrata nella cripta fresca e profumata
d'incenso. Non c'era nessuno solo il Santo vuoto, pulito, leggero; non
ho potuto aspettare, capirete, mi hanno attaccata, ferito, rapito, mi
hanno stregato sicuramente. Ho dovuto farlo, purificare il corpo e
nutrire il midollo delle mie candide ossa provate dal peso della carne.
Il vetro si è rotto facilmente e ho mangiato solo un dito, croccante e
facile da rompere. Si è polverizzato in un attimo sotto i miei denti forti
e, ora, potete lasciarmi, sto già meglio. Lasciatemi.


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