Giuliana Fornaciari
Sottrarsi

A Dani, nipote

Dapprima fu una pioggia di meteoriti, precipitate sulle sabbie bianche 
dell'attuale  regione  di  Rahdalam,  poi  un  eccezionale  convergere  di 
tutte le scariche elettriche di cui il cielo si sgravò con urgenza in un sol 
colpo – BADABANG! – intorno al 3000 a.C..
La sabbia fonde alla temperatura di 2.300 °C e poi si cristallizza. E così 
si son creati questi canyon di folgorite.
Folgorite  è  il  termine  che  in  mineralogia  sta  ad  indicare  queste 
cattedrali di sabbia fusa alte come sequoie. L'oasi di Topinambur, nel 
deserto  di  Rahdalam  è  una  selva  di  folgorite,  plasmata  da  fulmini  e 
meteoriti. 
Fin  dall'antichità,  si  fecero  grandi  progetti  per  questa  vasta  area 
sabbiosa  priva  di  risorse,  ma  proprio  priva,  priva,  priva,  priva,  priva. 
Praticamente solo sabbia e pietrame, pietrame e sabbia, tutti impastati 
in quel monumentale intreccio di sabbia fusa e solidificata. 
Non  una  miniera,  non  un  giacimento,  non  un  solo  frutto  dal  suolo  e 
ovviamente  non  una  sola  goccia  d'acqua.  Un  luogo  che  non  ha  mai 
fatto  gola  a  nessuno,  che  nessuno  avrebbe  mai  voluto  né  abitare,  né 
possedere,  né  coltivare,  né  tanto  meno  saccheggiare,  perché  non  c'è 
nulla da saccheggiare. 
Questo nulla assoluto affascinò molti viaggiatori che passavano di lì; e 
questi viaggiatori capirono al volo che si trattava di un nulla prezioso, 
anzi  sacro.  E  bisognava  farci  qualcosa  di  importante  con  tutto  quel 
silenzio vasto.
Dopo i meteoriti del tardo pleistocene e i fulmini dell'epoca Minoica, 
da un certo momento in poi, a Topinambur, portarono avanti il lavoro 
certi  nostri  antenati,  con  delle  finiture  di  pregio.  Gli  antichi 
proseguirono  tutto  quel  lavorio  di  fusione,  ribollore,  tempra, 
concrezione,  indurimento  che  formano  queste  trine  monumentali. 
Venne  anche  la  volta  degli  specchi  ustori  di  Archimede.  Le  grandi 
superfici  riflettenti  furono  direzionate  verso  i  depositi  lasciati  dalle 
tempeste  di  sabbia,  per  creare  tutti  quei  posticini  adatti  agli  umani: 
volte,  rampe  di  scale,  atri,  porticati,  cavità,  pergolati,  ponti,  terrazze, 
muretti  bassi.    Archimede  dava  ordine  di  dirottare  i  raggi  del  sole  sui 
mucchietti  di  sabbia  che  dopo  in  po'  si  fondevano,  e  a  seconda 
dell'abilità del Mastro Ustore si dava forma ad una scaletta, una tettoia 
oppure ad un bersò.
E da tutte queste porosità venne fuori tutto un sistema capillare capace 
di  catturare  ogni  goccia  di  umidità  notturna,  e  di  stoccarla  nelle 
cisterne  sotterranee.  Dopo  tutti  questi  secoli  le  scorte  d'acqua 
sotterranee,  puntualmente  si  rivelano  sempre  sufficienti  a  lunghi 
soggiorni  di  oziosi  villeggianti.  Insufficienti  per  coltivare  ed  irrigare  – 
bada bene – ma ottima, fresca ed abbondante per dissetare tutti coloro 
che arrivano a Topinambur.  
Topinambur è un paradiso di frescura nel bel mezzo del deserto.
La storia non si fa né con i se né con i ma. Ma quante volte l'umanità si 
è  chiesta  cosa  mai  avremmo  fatto  se  non  esistesse  Topinambur,  "il 
luogo  che  sottrae".  Ci  saremmo  fatti  delle  guerre  forse?  Delle  guerre 
pazze e sanguinose? Delle guerre costosissime e noiose?
Lo  conoscete  tutti  il  paradiso  del  deserto,  meta  di  tutti  i  rifugiati,  lo 
avete  affrontato  con  il  prof.  di  Geografia.  Adesso  approfondiamo 
l'argomento anche in storia. Aprite il libro. 
Allora  dovete  sapere  che  ogni  tanto  a  qualche  imperatore  ribolle  il 
sangue e vuol dichiarare guerra al territorio confinante, oppure ad un 
paese  lontano,  ricco  di  una  qualche  ricchezza  che  fa  gola,  e  allora 
bisogna mettere via ogni intento eroico di resistenza, far armi e bagagli 
e trasferirsi in massa a Topinambur "il luogo che sottrae".
Non  ci  sono  case  né  palazzi,  non  ci  sono  strade  e  pertanto  non  la  si 
può chiamare città. Ci sono anfratti, guglie altissime, nicchie, voltoni e 
padiglioni di roccia e sabbia fusa. E si sta così sulle amache appese agli 
spunzoni  di  roccia,  si  sta  come  campeggiatori  ad  Agosto,  si  vive 
all'aperto,  nei  mille  freschi  rifugi  dove  crescono  tenere  verzure 
imperlate di rugiada. 
Le persone perseguitate, i disertori, le masse di genti cacciate dai loro 
territori, da sempre si trasferiscono qui, giusto il tempo che gli imbecilli 
guerrafondai si stufino di occupare i paesi altrui e tornino da dove son 
venuti.
Cosicché succede sempre che gli invasori che stanno per invadere un 
qualche territorio, già da lontano, con il binocolo, vedono che il paese 
è stato abbandonato. Poi una volta entrati in pompa magna dal vialone 
principale, si trovano di fronte a delle città disabitate, senza nessuno da 
combattere  e  nessuno  da  soggiogare;  e  questa  cosa  qua  è 
particolarmente  disarmante  sia  per  i  colonnelli  sia  per  i  mercenari. 
Provate  ad  immaginare  di  entrare  con  un  carro  armato  in  una  città 
fantasma,  dove  tutti  i  bar  sono  chiusi  e  se  un  generale  dell'esercito 
occupante vuole un caffè, deve sfondare la serranda e poi andare dietro 
al  bancone  a  farselo  da  solo  il  caffè.  E  sfonda  un  bar,  e  sfondane  un 
altro,  poi  a  lungo  andare  il  caffè  finisce,  e  la  fornitura  di  energia 
elettrica per azionare la macchina del caffè, pure. Pure quella finisce. 
Le gerarchie militari dopo poco sono costrette ad ammettere che non si 
può  costringere  nessuno  a  lavorare  per  gli  occupanti  perché  non  c'è 
più  nessuno,  non  si  può  corrompere  nessuno  perché  non  c'è  più 
nessuno. Capita poi che dopo un mesetto dall'entrata degli invasori si 
moltiplichino delle telefonate del seguente tenore:
Ing. H: "Pronto? Parlo con l'ingegner Youssef Barigazzi?"
Ing. Y: "Sì, sono io."
Ing. H: "E' lei il tecnico addetto alle chiuse del bacino di Lammerfur?"
Ing.  Y:  "Sì,  sono  io,  o  meglio  ero  io,  attualmente  sono  in  esilio  a 
Topinambur, il paradiso dei profughi, nel deserto di Rahdalam."
Ing. H: "Beh ecco io sono il tecnico occupante, sono l'ingegner Hiroshi 
Honolulu Ferretti... Ecco devo dirle che sono io adesso che mi occupo 
di  gestire  le  chiuse  del  bacino  di  Lammerfur...  e  Le  telefono  perché... 
beh ecco... sa... c'è l'idrovora n°321 che fa dei rumori strani... e allora 
mi chiedevo se Lei..."
Ing. Y: "Signor tecnico dell'esercito occupante, SI ARRANGI! Ma non si 
vergogna? Ci avete attaccato, avete voluto occupare tutta la Sbralizia del 
Sud per via delle miniere di cobalto, e adesso Lei mi chiede una mano 
per mandare avanti la baracca, per governare il MIO Paese... ma si vada 
a nascondere..."
Ing. H: " ...La prego ingegner Youssef, io non lo volevo occupare il suo 
bel  Paese,  ma  mi  ascolti  la  prego,  le  prime  case  ad  andare  sott'acqua 
saranno  quelle  con  i  tetti  blu.  Gli  argini  della  contro­chiavica  non 
possono  tenere...  per  favore  sia  sincero:  Lei  ha  forse  manomesso  il 
manometro della sala D? "
Ing. Y: " ...fuochino... "
Ing. H: "La prego sia preciso! Lei ha sabotato i comandi del... "
Ing.: Y: "Acqua! Acqua! Acqua! ...Scappi, se ne vada! Lasci il mio Paese, e 
io farò in modo che non tracimi un bel nulla.”
Eh beh sì, ovviamente prima di partire per Topinambur i fuggiaschi in 
genere  pensano  bene  di  sabotare  tutto  il  sabotabile.  E  allora  può 
succedere che gli invasori si trovino tutti gli accessi murati: murati gli 
accessi  alle  cantine,  agli  stadi,  ai  retrobottega,  alle  centrali 
idroelettriche,  ai  magazzini,  agli  archivi,  agli  acquedotti,  agli  stanzini 
delle bidelle. Gli esiliati manomettono tutto per mettere in difficoltà le 
Generalesse, bardate di medaglie, che quando arrivano e issano la loro 
bandiera, poi non trovano neanche le chiavi per la toilette. E dopo un 
po',  generalmente,  si  stufano  di  colonizzare,  perché  non  trovano 
nessuno  che  vada  a  lavorare  nelle  miniere  di  cobalto,  nei  pozzi 
petroliferi,  nelle  aree  portuali  strategiche  e  nelle  fertili  campagne  dei 
territori conquistati. 
Per  i  fuggiaschi  fare  armi  e  bagagli  è  sempre  stata  una  scocciatura, 
evacuare  un  intero  paese  in  una  settimana  non  è  mai  stato  uno 
scherzo,  infatti  capita  sempre  che  un  bisnonno  faccia 
dell'ostruzionismo,  che  non  voglia  partire  perché  teme  di  morire 
lontano dalla sua terra e allora il geronto, in genere, lo si lascia sfogare 
per venti minuti. Poi lo si porta via di peso, e lo si imbarca insieme al 
resto della famiglia. Tanto poi, dopo solo tre settimane, mediamente si 
torna indietro.
Il trasloco di massa avviene con delle flotte internazionali di dirigibili. 
Perché  è  interesse  di  tutti  che  non  ci  siano  delle  guerre.  Secondo  gli 
esperti  pare  che  le  guerre  costino  un  sacco  di  soldi  sia  a  farle  che  a 
rimediarne i danni successivi. E allora appena un Capo di Stato telefona 
all'ONU  per  chiedere  una  flotta  di  dirigibili,  son  tutti  disponibili  e 
gentili.
Il  Primo  Ministro  di  un  paese  sotto  minaccia  militare  deve  fare  una 
richiesta di esilio temporaneo assistito nel seguente modo:
Primo  Ministro:  “Pronto  buonasera,  sono  il  Primo  Ministro  del 
Turmipuz.  E'  successo  che  l'imperatore  dell'Uticawa  ci  ha  appena 
dichiarato guerra. Per cortesia ci mandate una flotta di dirigibili?”
Impiegato ONU: “Quanti siete?”
PM: “Siamo circa 5 milioni di abitanti.”
ONU: “Va bene se le mando 400 aeromobili, più 17 navi attrezzate ad 
ospedale, granai e balere di liscio?”
PM: “Va bene, va bene, dai, faremo tre o quattro viaggi, ci adatteremo.”
ONU: “Gliele mando per martedì mattina?”
PM: “No, no! Martedì no eh! Ci sono ancora gli esami di terza media in 
tutto il Paese, me le mandi per venerdì mattina.”
Una volta un ragazzino di nome Daniele attivò la procedura diesilio temporaneo assistito 
imitando la voce di un gerarca marziano al telefono.
Praticamente fece trasferire due interi quartieri solo per evitare la visita dal pediatra.
Da quel momento quando arrivano delle segnalazioni di attacchi extraterrestri
l'impiegato dell'ONU chiede sempre prima di tutto: “ma sei Daniele?”

La Popolazione che nella storia rimase più a lungo in esilio nel deserto, 
furono gli Zalawi indoeuropei. Fuggirono dalle loro città per via di un 
vulcano  che  si  svegliò  dopo  due  millenni  di  quiete,  continuando  a 
sputare lava, ceneri e gas schifosi per più di sei mesi. Tutti gli Zalawi si 
trasferirono  in  massa  a  Topinambur  in  attesa  che  il  vulcano  si 
calmasse, ma il vulcano non accennava a calmarsi. Tre milioni di Zalawi 
vissero  lì,  nel  refrigerio  accogliente  di  Topinambur,  per  un  sacco  di 
tempo,  in  attesa  di  poter  tornare.  Al  che  la  Comunità  Internazionale 
cominciò  a  preoccuparsi,  perché  secondo  il  trattato  del  723  a.C.  a 
Topinambur, non ci potevano essere residenti fissi, ci si era giurati che 
Topinambur  dovesse  rimanere  sempre  disponibile  per  dei  nuovi 
fuggiaschi  mica  per  degli  stanziali.  Era  una  questione  di  equilibrio 
planetario.
Bisognava  trovare  un'altra  sistemazione  per  gli  Zalawi.  Fu  così  che  si 
fecero  avanti  gli  europei,  in  particolar  modo  gli  Italiani  dicendo  che 
avevano bisogno di RISORSE per svecchiare il paese, per portare nuova 
energia  all'economia  e  al  mondo  del  lavoro.  Gli  Zalawi  consultarono 
una loro sacerdotessa molto saggia:
"Grande sacerdotessa molto saggia, non trovi che l'invito degli Italiani 
sia molto generoso?"
Ella stette in silenzio in meditazione per ore ed ore senza rispondere, 
poi  si  destò  dal  suo  torpore  mistico,  tese  lentamente  il  palmo  della 
mano destra verso il suo popolo e altrettanto lentamente posò il palmo 
sinistro  tra  il  braccio  e  l'avambraccio  destro  che  si  piegò  sempre  con 
estrema  lentezza:  "Questo  è  l'antichissimo  gesto  dell'ombrello  che 
serve  a  declinare  gli  inviti  sgraditi  secondo  l'antica  tradizione  italiana. 
Risponderemo così all'offerta. Poiché in verità, in verità vi dico: quando 
un popolo battezza un altro popolo con il nome di RISORSA al pari di 
una dispensa di datteri, un otre di vino, una mucca, un orto coltivato a 
sedani,  l'offerta  sappiate,  miei  cari,  è  impari:  essa  si  rivelerà  una 
trappola  di  fatica  inumana,  verrà  chiesto  di  esistere  solo  in  quanto 
risorsa,  cioè  come  otre  che  versi  continuamente  vino,  come  mucca 
erogatrice  di  latte  e  non  più  come  essere  umano.  Restiamo  fratelli, 
restiamo qui, a Topinambur ad oziare con dignità, schiavi di nessuno. 
Il vulcano si placherà, e noi torneremo."
 
Fortunatamente il vulcano si spense.  Una volta ritornati in Zalawia gli 
Zalawi  dovettero  spazzare  via  un  sacco  di  cenere,  e  togliere  tutto  il 
taccone  del  magma.  Molti  Italiani  partirono  volontari  per  aiutare  a 
spazzare  via  la  cenere,  lavorarono  fianco  a  fianco  degli  Zalawi.  Molti 
rimasero  a  vivere  lì  in  Zalawia  e  tutti  si  dimenticarono  della  gaffe 
istituzionale: quella delle “risorse umane”.
Quando  dei  popoli  intieri  si  rifugiano  a  Topinambur  son  sempre  un 
pochino preoccupati, perché si domandano: “Eh ma se poi gli invasori 
si portan dietro delle persone che ci sostituiscono?”
Ma  questa  è  sempre  una  paura  infondata.  Perché  gli  invasori 
guerrafondai  non  riescono  mai  a  convincere  nessuno  a  trasferirsi  e  a 
pigliare la terra altrui. E adesso vi spiego perché.
Si  parla  sempre  di  Topinambur,  sui  libri  di  storia  e  geografia. 
Topinambur ha sì il potere di disarmare i guerrafondai e i profittatori, 
ma  solo  grazie  all'esistenza  di  altre  amene  realtà.  Si  parla  sempre  di 
Topinambur,  e  mai  si  parla  di  quelle  miriadi  di  Eden,  nati  ad 
imitazione  di  Topinambur.  Dappertutto  in  tutto  il  mondo,  sono  nati 
come  funghi  tutti  dei  posticini  per  sottrarsi  e  scappare  via,  così  a 
macchia  di  leopardo,  su  delle  montagne,  su  delle  isolette,  su  degli 
altopiani e in generale nei posti abbandonati. Si tratta di posti difficili 
da  raggiungere  dove  vanno  in  esilio  temporaneo  i  disoccupati,  i 
reclutati, i soldati di leva, gli apolidi, i senzatetto e gli elettori... stanno 
lì in vacanza ad aspettare che arrivino tempi migliori. E dopo bisogna 
corteggiarli parecchio affinché questi beati imboscati ritornino in città a 
fare da serbatoio di forza lavoro o semplicemente a votare. 
Ma il ruolo più importante di questi piccoli Eden ispirati a Topinambur 
si esplica bene tutte le volte che un governo cerca di mandare gente a 
colonizzare i territori conquistati. E allora fanno dei discorsi dai balconi 
dei palazzi urlando alla folla cose del tipo: “Terra promessa, ora tutto 
questo è vostro... andate e moltiplicatevi... armatevi e partite”.
Da quando esistono i piccoli Eden di quartiere, sotto il balconcino dei 
leader  c'è  sempre  poca  gente  che  sbadiglia  o  fa  gli  scongiuri  perché 
non ha voglia di fare la fatica di trasferirsi per occupare un Paese altrui. 
Piuttosto preferisce trasferirsi temporaneamente in montagna nei micro 
Eden, aspettando tempi migliori.
Bene ragazzi allora per casa vi do un compito: vi do da fare una ricerca, 
farete  un  elenco  di  tutti  i  piccoli  paradisi  dove  si  può  scappare  e 
rifugiarsi nella nostra Provincia. I posti dove si è sempre ben accetti e si 
trova  rifugio,  per  scappare  da  un’angheria,  da  uno  sfratto,  da  una 
disoccupazione  improvvisa  o  da  una  campagna  elettorale  molesta. 
Insomma fate una ricerca sui piccoli Eden di cui abbiamo parlato oggi 
in classe. Intervistate i nonni e i vostri genitori e cercate su google.
Poi  vi  chiedo  di  disegnare  Topinambur  come  la  vedete  qui  sulle  foto 
del  libro  di  geografia,  con  il  deserto  tutto  intorno,  le  bandiere  dei 
popoli ospiti e con i dirigibili fermi immobili nell'aria sopra la foresta di 
sabbia.


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