Mau MacFerrin
E amen
Vivo da sempre in mezzo ai rifiuti, ma ne sono consapevole da circa tre mesi;
l'ho capito quando un editore perfido e sadico mi ha assegnato il compito di
scrivere qualcosa sullo scarto, l'immondizia, l'avanzo inutilizzato. Da mesi mi
tormento le giornate di lavoro, i dormiveglia e le docce – sì, le docce –
cercando nel buio, in base al noto metodo Tentoni, una scintilla capace di
incendiare la presunta verve letteraria che qualche familiare mi attribuisce.
Avevo cominciato con l'idea scontata di scrvere – a prescindere
dall'argomento da trattare – un racconto affollato si refusi. Sarebbe stato n
modo autoironico di pagar pegno per l'errore di batttura non visto nella
precedente pubblicazine, ma alla fine ho rinuncato.
Bene, allora scriverò di rifiuti – è questo che conta – senza indugiare sulle
sviste che fatico a perdonarmi. Rifiuti. Il mio amico G. mi ha raccontato di una
scena surreale, di quando faceva notte alla Festa dell'Unità, tanto tempo fa;
una volta, si era talmente rilassato, in totale sciàmbola insieme a un paio di
compagni, che i Carabinieri li trovarono lunghi sdraiati sopra e dentro delle
gabbie per conigli. Uno dei tre alzò la testa e, laconico, disse ai militari "siamo
rifiuti della società". La gazzella ripartì senza che gli uomini in uniforme
replicassero alcunché. Ma perché avrei dovuto raccontare questa storia, che
non è neanche mia e che ricordo in modo compiutamente approssimativo?
La raccolta differenziata mi ossessiona, è sempre un momento delicato. Ho
immaginato di dedicare il mio scritto alla raccolta della plastica, sorta di
dramma in due atti in cui inizio a lavorare – perché di lavoro si tratta, seppur
non retribuito – con le migliori intenzioni e, non appena il primo flacone di
shampoo, che ho lavato con una diligenza umiliante, mi balza, come spinto da
una molla, fuori dalla vaschetta per alimenti in cui l'avevo chiuso con cura
masochistica, che, a sua volta, schizza con inspiegabile potenza dal pacco
delle penne rigate in cui mi illudevo di averla blindata e tutto va a catafascio,
tutto il mio lavoro rovina e rimbalza sul pavimento e sui miei maroni, che
prendono fuoco e iniziano a roteare come girandole pirotecniche di
Fuorigrotta, mentre nomino uno per uno – e puntualmente invano – tutti gli
dèi del Sinai, del Pantheon, dell'Olimpo e del Walhalla e, lanciando contro
l'incolpevole – ma indifferente – muro vasetti per jogurt, tappi, bottiglie per il
latte, fialette per sciroppo, borse di un negozio, sporte di un altro, recipienti
trasparentissimi e igienicissimi per pesche prugne mele pomodorini, finocchi
ed elastici per capelli, maledico questo dannatissimo sistema in cui siamo noi,
noi a rinchiuderci in contenitori di plastica, noi a differenziare quel cazzo di
plastica e a farla riciclare mentre nuova plastica ci avvolge e soffoca. E i
serramenti in pvc, i rivestimenti in pvc, i pavimenti in pvc, gli isolamenti in
pvc, il ritorno della musica in vinile, e basta cristodidio! Niente da fare: non
mi soddisfa nemmeno il racconto della sfuriata settimanale sulla differenziata.
Ci sono! I rifiuti che conosco da una vita, sono quelli che ho ricevuto da
amici, donne, datori di lavoro, anzi no, ma che cazzo dico: i rifiuti più
importanti della mia vita non sono quelli che ho ricevuto, sono quelli che ho
dato. A cominciare dal primo – sempre sia lodato – di cui mi rallegro ancora,
a distanza di quarant'anni: il rifiuto della cresima. Avendo compreso come il
sacramento in questione andasse a suggellare la mia appartenenza di
battezzato alla Chiesa cattolica, espressi al parroco don G. i dubbi prepotenti
che – non so come, ma ne ringrazio il cielo – mi si erano presentati nel
tempo a mortificare i già fragili pilastri della mia fede. Il parroco, che era una
brava persona, mi invitò a scambiare qualche parola con lui in canonica, il
sabato pomeriggio. Avevo dieci anni e mi trovavo, un sabato dopo l'altro, a
discutere di fede e spiritualità con un prete che mi stava ad ascoltare,
spiegando poi le sue ragioni con serenità. Quel sacerdote, che non insistette
oltre e rispettò il mio diniego, mi chiese perfino di accompagnarlo in un breve
tour presso certe parrocchie di montagna, dove, con mio sommo imbarazzo,
mi presentò a tutti come un fenomeno. Non ho mai compreso davvero, per
quale motivo don G. mi ammirasse tanto. Sicuramente, non poteva
immaginare cosa sarebbe uscito dalla mia bocca quarant'anni più tardi, alle
prese con la maledetta differenziata della plastica.
Macché, non va bene neanche così. Sbatto tutto nel cestino dei rifiuti e amen.