Cecilia Valenti
Ossa che feriscono

“Spogliati pure, per favore” e la ragazza obbediente inizia a sfilare
l’informe felpa: la prima di uno strato di tessuti in cui tenta di
nascondere quel mucchietto di ossa fragili
Io, per una volta, vorrei sentirmi urlare contro: “Ma di cosa?! Più nuda
di così! Non ho più niente da togliere...”
Eppure non accade mai, perché per quanto scarno sia quel corpo, lei lo
sente troppo. E se potesse continuare dopo aver sfilato l’ultima
maglietta affonderebbe le unghie nello strato di pelle trasparente,
inizierebbe a tirare fino a scuoiarsi tutta e non le basterebbe, perché
finalmente potrebbe strapparsi di dosso quel
filo di grasso sottocute, e chissà se a quel punto potrebbe dirsi
soddisfatta.
Mi dà le spalle la ragazza, perché mostrarsi in volto la spaventa: con la
schiena ricurva, intanto che sfila la testa dal buco di quell’ultima
maglietta, con le vertebre che spingono in fuori e si mostrano tutte
indistintamente a partire da quelle cervicali fino al coccige, e mi
permettono di fare un ripasso dell’apparato scheletrico senza le tavole
anatomiche di Netter.
Poi si raddrizza e lo studio continua: in alto, ai lati della colonna
vertebrale spuntano due ali, le spine scapolari che premono in fuori, e
poi scendendo con lo sguardo ai lati della schiena s’intravede la gabbia
toracica con la pelle infossata tra le costole, più giù, la pelle che rimane
dalla massa svuotata viene raccolta nei margini superiori delle ossa del
bacino, anche quelle le si vede bene.
In disparte c’è la madre che guarda con la coda dell’occhio di chi non
vorrebbe vedere.
Sento il suo imbarazzo: come se lei volesse scusarsi di non essere stata
in grado di sfamare la figlia, e alla fottuta paura di perderla per sempre
aggiunge un inconsolabile senso di una colpa che non ha. Poi prende
coraggio e con un filo di voce lancia la domanda che si smorza in gola:
“Potrà guarire?”
“Sì, potrà! Faremo in modo che quel corpo non abbia più tutta quella
importanza...”


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