L’Ape
Disarmata

Senza terra sotto i piedi
il respiro si fa infinito

Una  mattina  di  primavera  avevamo  trovato  un  grandissimo  mazzo  di 
sedano  sul  tavolo  della  cucina.  Era  veramente  grande,  tutto  verde  e 
legato con uno spago grosso e ruvido, con un buco in centro coperto 
di  foglie.  Prima  della  colazione  ci  siamo  seduti  a  contemplarlo 
immaginando insalate sterminate da mangiare... come minimo in uno 
stadio di calcio.
Primavera strana, agitata e di paura. Il camino bruciava ancora di tutto e 
di più a buon ritmo. Mattina vuota a guardare il sedano. Da un po’ di 
giorni non si andava a scuola e nessuno ci aveva detto quando mai si 
dovesse tornare.
La mamma arrivò a metà mattinata. Non era la prima volta che tornava 
a  casa,  la  prima,  all’alba,  aveva  portato  il  grande  mazzo  verde.  Si  è 
seduta in disparte, abbassando la testa e mettendola fra le mani aveva 
fatto  quel  sospiro  tipico  di  quei  giorni,  a  metà  fra  prendere  aria  per 
andare  avanti  e  il  prendere  aria  perché  non  ce  n’è  più.  Dopo 
pochissimo  a  forza  di  grida  e  spintoni  ci  portò  alla  macchina  in  gran 
fretta senza dirci che si trattava del gran viaggio del sedano.
Seduti  dietro,  silenziosi  come  non  mai.  Con  la  faccia  contro  il  vetro 
vedevo  passare  la  città,  strade  vuote,  le  chiome  degli  alberi  che 
sbocciavano.  Ho  aperto  il  finestrino  e  la  brezza  mi  ha  fatto  diventare 
come i cani felici. Alcuni angoli erano pieni intorno a carri verdi, soldati 
con facce adolescenti e sguardi duri e gente intorno. Mi piaceva tanto 
andare  in  macchina,  mi  piace  ancora  questo  movimento,  andare, 
andare, seduti con la faccia verso il sole.
Santiago passò in tutta la sua immensità e quasi quando stava per finire 
ci fermiamo. Una piccola chiesa bianca era il nostro destino. Una coda 
di  persone  dall’aria  preoccupata  e  con  fretta  si  snodava  dalla  porta 
verso  i  campi  dove  la  chiesa  dormiva  tranquilla.  Ogni  tanto  usciva 
qualcuno  con  aria  sollevata,  tutti  prima  di  andare  via  si  guardavano 
intorno, a destra, a sinistra, in alto.
Chissà che cosa facevamo là.
Scesi  dall’auto  ci  mettemmo  in  coda  finché  un  prete  uscendo  dalla 
porta  guardò  verso  di  noi,  gli  sguardi  della  mamma  e  il  suo  si 
incrociarono  e  lui  dopo  un  sguardo  sorpreso  ci  fece  un  segno  con  la 
testa  indicando  una  piccola  porta  laterale.  Ci  prendiamo  per  mano 
lasciando la coda, e siamo entrati a testa bassa e a tutta velocità.
La mamma abbracciava quasi con passione il suo mazzo di sedano, un 
verde fresco e profumato le copriva la faccia.
“SSHH,  state  zitti  bimbi.  Sedetevi  là  che  parlo  un  attimo  con  don 
Pablo.”
La porta la lasceranno aperta per tenerci sempre sott’occhio. Poggiato il 
grande  mazzo  su  un  altrettanto  grande  tavolo  di  legno  scuro  vidi  la 
mamma  come  sgonfiarsi  in  un  sospiro  profondo.  Slegò  il  tutto 
lasciando però il filo morbido a tenere ancora la forma, infilò la mano 
nel  centro  e  guardandosi  le  spalle  estrasse  un  mirino  telescopico. 
Cos’era l’ho saputo molto dopo.
“Grazie  a  Dio  ho  saputo  che  anche  voi  raccogliete  armi,  andare  da 
sconosciuti non lo avrei retto.”
“Ma Paulina, questa non è un’arma.”
“Lo so, lo so, ma mi può dire chi crederebbe che non c’è il fucile?”
Prese l’oggetto e lo buttò in un gran sacco nella stanza accanto. L’addio 
fu  un  abbraccio  e  un  “vi  auguro  fortuna”  e  un  “quanto  son  cresciuti” 
guardandoci.
Don  Pablo  aveva  lo  sguardo  infinitamente  triste  e  i  passi  veloci  per 
sparire.
Quasi un anno prima erano tornati entusiasti e più amici che mai con 
trofei dall’isola. In realtà regali speciali di un altro amico speciale. Era 
un  solo  gran  regalo  che  S.  aveva  deciso  di  dividere  con  mio  padre. 
Ovviamente gli aveva regalato la parte minore scherzando sul fatto che 
il  resto  gli  serviva  per  difendere  la  sua  vita  e  quella  degli  altri  che 
sarebbero rimasti vicini, lasciando intendere una amarezza lucidamente 
sussurrata.
Questo fu il penultimo viaggio in macchina, la nostra. L’ultimo sarebbe 
stato verso l’aeroporto.


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