Rin Don Dante
Complotto

Il calore del primo pomeriggio rendeva incandescente ogni cosa nella 
striscia di terra gialla e polverosa tra le due trincee. L'aria calda creava 
l'illusione  acquosa  e  traballante  di  pozzanghera  ma  era  solo  un 
miraggio:  dell’erba  che  un  tempo  copriva  quel  tratto,  era  rimasto 
soltanto qualche filo di paglia rinsecchita; qua e là spuntava dalla terra 
battuta un sasso e qualche frammento di vetro, che giocava a riflettere i 
raggi  del  sole  con  bagliori  accecanti  e  improvvisi.  Era  un  luglio 
particolarmente  caldo  e  nelle  ore  centrali  della  giornata,  resistere  era 
davvero un’impresa.
Nelle trincee il caldo era insopportabile. 
La trincea a Sud era situata sotto alcune piante di fico che con le larghe 
foglie  schermavano  i  raggi  cocenti.  Si  percepiva  umana  presenza: 
capitava a volte di intravedere il gesto veloce di una mano, che, con la 
precisione  di  un  rapace,  rubava  un  molle  frutto  dalla  pianta.  A  parte 
quello,  nulla.  La  fissità  e  immobilità  del  paesaggio  erano  presagio, 
erano attesa.
Nella trincea a Nord, uguale e cocente staticità, lì nemmeno una foglia 
difendeva dalla luce: era completamente esposta alla violenza del sole. 
Nessun  rumore  proveniva  dal  vallo,  il  silenzio  era  interrotto  solo  dal 
ronzio di un calabrone tra i fiori dell’oleandro, alle spalle della trincea 
che sembrava abbandonata; qualche calda folata di vento portava dalle 
case  in  fondo  alla  valle,  lontani  rumori  di  quotidianità:  acciottolio  di 
stoviglie da lavare, di cucine da rassettare, di vita. 
  Eppure,  anche  a  Nord,  si  preparava  la  battaglia:  dalla  fronte 
dell'appostato  scendevano  copiose  gocce  di  sudore  dovute  al  caldo  e 
alla tensione; mani bagnate stringevano l’arma con gesto spasmodico.
All'improvviso la scena prende vita rompendo l'immobilità.
Ecco  avanzare  tra  le  trincee,  ignara,  una  madre:  è  uscita  da  un 
caseggiato,  laggiù  in  fondo  alla  discesa:  trattiene  sottobraccio  un 
libricino; in una mano ha qualcosa, con l’altra, ripara gli occhi abituati 
alla penombra, accecati ora, dalla luce. Si guarda intorno, gira la testa 
come a cercare qualcuno.
Dalla trincea Sud, un rumore secco; a Nord tramestio.
Madre avanza, riesce appena a pronunciare qualche parola, “Fate piano 
che  vostra  sorella  dorm...”  quando  un  getto  d'acqua  la  colpisce  in 
pieno  volto.  Alle  spalle  è  colpita  da  getti  multipli  contemporanei.  È 
sopraffatta  dagli  spruzzi  che  le  entrano  nel  naso  nella  bocca,  non 
respira; il libro cade, la tazza di caffè, che teneva in mano, si rovescia 
sull'abito,  sui  piedi  e  sulla  copertina  de  Il  libro  dell'inquietudine  ma 
non c'è compassione, né per lei, né per Soares.
In guerra non c'è pietà.
La  calma  torna  soltanto  quando  i  serbatoi  dei  liquidator  si  vuotano  e 
l'aria si riempie di schiamazzi e risate bambine.
La battaglia è finita. È ora di stendere i danni.
Madre  appende  mutande  e  canottiere  al  filo  del  bucato  e  cerca  un 
posto  per  far  asciugare  il  libro  che  ingenuamente  aveva  pensato  di 
poter leggere in pace sotto un'ombra.  Il libro si apre e tra una chiazza 
e  l'altra  si  legge  “...del  sorriso  nel  mezzo  del  disastro,  del  significato 
immaginario all'interno dell'assoluto senza­senso e del naufragio
”.
E se lo dice Pessoa...


precedente
successivo