Paula Nolff
Uno e mille respiri

Mi  rifiuto,  no  e  no,  assolutamente  inammissibile,  ecco,  mi  rifiuto 
assolutamente.  Tutte  queste  cose  devono  finire,  adesso.  Comunque  io  non 
voglio farne parte. Basta, si è superato il limite, è ora di finirla. Io comunque 
mi rifiuto di continuare. Anzi, non voglio più dire niente di niente. Sto fuori.
Lo  sguardo  vagava  di  qua  e  di  là  mentre  il  tempo  passava  con  la  lentezza 
abituale  delle  sale  di  aspetto.  Pareti  di  colori  senza  memoria,  luci  anonime, 
sedie di plastica, pavimento di qualcosa che sembra plastica... Era da sola, ma 
aspettava. I numeri passavano, ma non c’era nessuno. Comunque il suo non 
era ancora arrivato. Eh si, doveva rifiutarsi di stare in questo posto, di fare, o 
meglio  non  fare  niente  con  il  suo  tempo.  Finalmente  un  numero  rosso 
intermittente  coincide  con  quello  della  carta  in  mano.  Bisogna  alzarsi  e 
attraversare  la  soglia  della  camera  di  tortura.  Non  respirare  che  così  non  si 
nota l’ira assassina che potrebbe provocare una strage da un momento a un 
altro,  e  aspettare.  Sì,  aspettare,  sentendo  tutto  quello  che  il  piccolo  potere 
dall’altra parte della scrivania  userà per assoggettarti, aspettare, aspettare, e 
se si ha fortuna uscire in fretta dalle grigie stanze. Uscendo pensava tra sé e sé 
che no, che... perché... Non si era rifiutata mai di niente, perché sì, la curiosità 
e quell’insano impulso di buttarsi in quasi qualsiasi cosa era stato sempre più 
forte di lei. Eh sì, e quella era la differenza con la specie di uomo seduto là. 
Ah, sì, signori e signore.


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