Laputa
Onore alle ossa

Ester, le tue ossa!


Una meravigliosa cascata di capelli rossi e ricci, alta, mani grandi, aveva
tutte le caratteristiche fisiche di una donna che definirei... potente.
Mancavano l’arco e le frecce e sarebbe stata una stupenda amazzone.

Questa era Ester.

David al suo confronto era un omuncolo triste, d’altronde era difficile
spiccare quando si aveva di fronte tanta bellezza.
Egli aveva dalla sua uno sguardo profondo e pulito e un rispetto antico
per le donne che aveva imparato stando a contatto con una famiglia
che sicuramente aveva provato su se stessa il significato di famiglia
matriarcale.
La prima cosa di cui Ester parlò a David furono le sue paure.
E lei da lì capì che era l’uomo giusto, non le servirono né un fisico
possente, né una brillante chiacchiera.
Quello era il segno: con lui poteva parlare delle sue paure... non le
serviva altro.
Lei voleva essere accolta e lui era calore.

Ester volle che David andasse con lei nei suoi “luoghi speciali”.
Il primo posto di cui gli raccontò fu la vecchia casa in cui aveva vissuto
buona parte della sua vita, tutta l’infanzia e parte dell’adolescenza.
Aveva conosciuto e perso lì il suo primo amore, aveva visto la famiglia
sbriciolarsi, aveva danzato nella spaziosa taverna insieme agli amici,
aveva abbracciato e fatto a pugni con il proprio e altrui dolore.
Non voleva più provare quelle sensazioni e proprio per questo fu qui
che perse il suo primo osso.
David di questo posto “aveva visto” tutte le bellezze: una casa grande,
vicino ad un parco meraviglioso con una meravigliosa quercia su cui
ancora si poteva salire e con una scuola vicino a cui si poteva ancora
andare a piedi insieme agli amici mano nella mano.

Il racconto di un nuovo luogo, già dalla scelta delle parole che Ester
stava facendo per descriverlo, sembrava il racconto di un posto
rassicurante, e non avrebbe potuto essere altrimenti pensò David.
Dopo un amore finito male e non avendo fatti i conti davvero con il
proprio dolore, capita spesso che l’amore successivo sia razionale,
tranquillo, sicuro.

Quella sicurezza alla lunga divenne apatia e venne spazzata via da un
“chiunque incontrato per caso che la facesse sorridere”, fu un facile
gioco. Ma Ester aveva bisogno di giocare.

Quella Ester non piacque a David non la riconosceva più: ingrigita,
triste ... non era lei.
Ed Ester d’altro canto aveva capito che quello, per lei, era stato un
passaggio utile per andare avanti rispetto a un luogo in cui lei non
voleva più stare.
Anche David aveva visto solo la sicurezza di quel passaggio.
E intanto Ester nell’avanzare lasciava dietro altre ossa.

La perdita delle ossa aveva significato per lei fare i conti con un’altra sé:
più cinica, più disillusa, più chiusa.
Non so se avesse a che fare con il crescere, ma se era così Ester non
voleva crescere più.

La casa più bella era per Ester quella che aveva aperto alle amiche, agli
amici, a chi si voleva fermare.
Una casa preziosa, antica, in un posto speciale della città, questa volta,
scelta da una persona speciale, suo padre.
Solo lui era riuscito a dire a Ester “Se non sei felice, vai”, solo lui era
riuscito a non farla sentire in colpa per essere stata se stessa.
E lei era andata lì leggera.
Lì aveva visto il suo cuore e aveva sperato fosse possibile...

A David erano bastati pochi indizi per capire che non c’era bisogno di
altre parole: lì c’era luce, lì c’era Ester.

Quel racconto, quel ripercorrere raccontato a David era Ester, senza le
sue ossa, senza una parte importante di lei che aveva perso nel
cammino.
Il progetto di Ester fu andare a riprendere le sue ossa.

Tornò alla casa di famiglia e prese un armadio a muro a cui teneva
moltissimo, tornò nella casa triste e riprese un quadro regalato ma
troppo importante per rimanere lì, andò nella casa in città e riprese un
pezzo di tenda che non interessava a nessuno ma che a lei ricordava
una cena e portò tutte queste cose al cimitero sulla tomba del padre.

“Ti lascio le mie paure mi riprendo le ossa e ti ringrazio per aver
creduto in me quando ne avevo più bisogno.”

Lasciò l’armadio a muro, il quadro, una foto dell’uomo qualunque e
tenne solo il pezzo di tenda da cui fece nascere uno splendido
fazzoletto.
Tutto bruciò rapidamente, come rapidamente se ne vanno le paure se
non le alimenti.


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