Lamberto Dolce
L’ultima falange

L’aria è calda e soffia sottile sulla pianura arida.
Radi  scheletri  di  tronchi  biancheggiano  mentre  il  sole  è  al  punto  più 
lontano.
Dentro un cielo di crema è una moneta annegata in un putrido stagno.
Da quanto sono qui? Guardo quel poco di mondo rimasto ancora con 
vita.
Un’unica vita.
Destinata a uccidersi. 
Tutte le altre esistenze di questo mondo non solo sono morte, ma sono 
dimenticate o ricordate come leggende.
Gy&x il grande mi ha appena raccontato le leggende. “Ti racconto ciò 
perché ti sia utile nel crescere”, mi ha detto prima di iniziare a narrare.
“Immagina  di  sentire  i  suoni  più  diversi.  Immagina  di  vedere  specie 
viventi dai colori sconosciuti.
Animali e vegetali. Questo mondo che da poco tempo ha accolto la tua 
acerba  presenza  non  è  lo  stesso  che  da  ere  lontane  mi  ha 
accompagnato fin qua.”
Vedo  Gy&x  guardare  la  pianura  e  mi  sembra  solo.  Quante  volte  avrà 
interloquito in solitudine con i suoi pensieri. 
Mentre  lui  racconta  ho  avuto  la  sensazione  di  aver  già  sentito  tutto 
prima con un altro ordine. 
Si è espresso senza emettere un suono. 
Senza  aver  il  coraggio  di  dirglielo,  mi  chiedo  perché  vuole  che 
immagini cose che non conosco. 
Sembra avermi sentito.
“Il  tempo”,  ripete  Gy&x  più  volte.  Forse  guarda  come  me  quell’unica 
vita riunitasi in una falange sterminata.
“L’unica vita, l’ultima, poi sarà il niente”, mormora mentre guarda.
Ho  provato  a  chiedermi  il  senso  che  possiamo  avere  io  e  lui,  ora. 
L’assenza di risposte mi avrebbe terrorizzato, per questo non ci ho più 
pensato.
“Tu  sei  nato  da  poco”,  mi  ricorda  Gy&x,  “restare  da  solo  non  sarà 
traumatico  come  lo  sarebbe  per  me  che  ho  vissuto  ere  diverse  in  un 
mondo che sembrava un altro”.
Confermo, e intanto ciò che vedo va oltre la mia immaginazione, forse 
anche oltre la sua, come mi dice il suo improvviso mutismo.
L’ultima  falange  dell’umanità  che  avanza  per  la  battaglia  finale.  Il  suo 
moto sembra spinto dalla peggiore agonia. 
Mi sorprendo del mio momentaneo immobilismo, ma ne capisco subito 
la ragione: è la statica emozione data dal terrore. 
Mi scuoto!
Il loro nemico ancora non lo vedo ma Gy&x assicura che ci sarà.
“C’è anche quando sembra non esistere”, prova a convincermi mentre 
cerca il sole.
“Il  nemico  apparirà  come  il  lampo.  Lo  vedranno  perché  è  dentro  di 
loro, gli ultimi umani.”
Dandomi  uno  sguardo  che  fatico  a  sostenere  mi  dice:  “Ti  sei  mai 
chiesto  di  dove  venga  tutta  quella  sicurezza  che  hanno  nella  marcia? 
Credo di saperlo dopo tutto questo tempo passato tra loro.” 
Gy&x  si  ferma  un  attimo  e  sembra  impressionato  da  quanto  sia  stato 
lungo quel tempo. 
“Marciano  sicuri  perché  si  sentono  onnipotenti,  mi  ascolti  ancora? 
Scrivi  negli  appunti  che  gli  umani  sono  l’arma  più  letale  di  questo 
pianeta. Stai scrivendo?”
Gli dico di sì quando già vede tutto tranne me. 
Proseguo  il  mio  lavoro  e  ricordo  solo  ora  di  essere  l’apprendista 
scrivano di pianeti abitati.
Quindi la falange crede ci siano nemici là in fondo? ...vorrei chiedergli 
mentre  riporto  lo  sguardo  dove  lo  spazio  si  dilata  di  fronte  a 
quell’immenso brulichio. Un vuoto ancora più immenso mi fa desistere 
anche nel guardare.
Mentre la sua voce sembra uscire da quel vuoto, Gy&x mi ripete: “Te lo 
avevo detto, il nemico è il loro più grande miraggio. L’hai scritta la data 
odierna?  È  di  importanza  universale:  oggi  l’umanità  è  rimasta  l’ultima 
specie vivente di questo pianeta”.
Scrivo ultima due volte perché la prima è illeggibile.
Poi riporto lo sguardo alla pianura straboccante di quell’umanità. 
Non capisco cosa stia dicendo Gy&x.
Cosa?  Gli  chiedo  più  volte  mentre  lui  continua  a  parlare  come  fosse 
solo:  “Hanno  sterminato  in  ogni  luogo,  l’acqua  è  contesa  nelle  sue 
ultime gocce, la terra è polverizzata”.
“È andata così”, ripete al vento senza guardare se io scriva o no. “Vedi là 
in fondo?” E senza attendere che gli dica di sì ripete ancora: “Vedi là? Sì, 
là, dove non si vede nulla”. 
Ancora il nulla che fronteggia la falange.
“Quel nulla, mio giovane scrivano, è il baratro. Il loro baratro.
Avranno la fortuna di arrivarci con le tenebre e non si accorgeranno di 
niente.
Sei  appena  nato  ma  toccherà  a  te  avvolgere  il  foglio  della  fine  dei 
tempi.” 
C’è  tristezza  nella  voce  di  Gy&x  mentre  continua  a  parlare  ma  lo 
capisco sempre meno; solo a tratti tra quei tristi fonemi capto sconnessi 
ricordi di tutti gli universi da lui conosciuti. 
“Cosa vedrai in assenza del tempo?” sentenzia, mentre io non so più se 
sono all’inizio o alla fine. O non sono.
“Come sta andando il tuo lavoro? Hai scritto? Fammi vedere.” 
Gli mostro il foglio trasparente con il rigo pallido di un confine ignoto 
che  ho  segnato  senza  nemmeno  sapere  cosa  rappresenti.  La  parola 
ultima l’avevo cancellata.
“Benfatto!” Ripete. “Ottimo! Continua così. Ti nominerò all’accademia 
di planetoica cosmica perché ho sempre creduto in te.” 
Non gli dico che è la prima volta che ci vediamo. Continuo a osservare 
la  pianura  che  lentamente  è  inondata  dall’ombra  del  crepuscolo.  La 
falange sembra stia urlando sempre più forte: cosa, non capisco.
“Allora  parto”,  mi  ha  detto  all’improvviso  Gy&x.  “Parto  per  andare 
lontano anni.”
“Va bene”, gli ho risposto impaziente che se ne vada.
“Anni”, ripete ossessivo.
“Anni luce come mi hai insegnato”, gli ricordo mentre lui è già svanito, 
per sempre.
Poco prima che partisse lo aveva vinto ancora uno stato confusionario. 
Chiedeva  al  vuoto  dove  lui  si  trovasse  e  poi  mi  guardava  come  se 
parlasse davanti allo specchio. 
Mi  sono  chiesto  cosa  Gy&x  rappresenti  per  me:  un  comandante,  un 
maestro,  un  genitore,  un  corruttore,  uno  sconosciuto,  un  folle? 
Addirittura una mia proiezione, forse soltanto un miraggio?
Ci  ha  tenuto  a  sottolineare  che  prima  o  poi  sarebbero  tornati  dei 
resistenti  di  quella  specie:  “pochi  disperati  che  non  si  riconoscono  in 
nessuna falange”.
“Devi  solo  aver  pazienza”,  ha  detto  con  un  tono  così  sottile  che  ho 
faticato a capire subito, come non capisco chi verrà dopo la fine.
Sono giunte le tenebre. Nessun astro le ha punteggiate. 
Urla mai sentite. Disarmonici cori straziati da disperazioni remote.
È  sembrato  un  tempo  infinito  che  si  contorceva  insieme  a  tutti  gli 
incubi  di  veglia  atroce  che  accompagnava  quella  macabra  orchestra 
armata. 
All’alba  ne  sento  ancora  la  eco,  ma  della  falange  non  è  rimasto  più 
niente.
E dei resistenti nemmeno l’ombra. 
È solo silenzio rotto da vento e solitudine. Il mondo è disarmato.
In attesa di un segnale che ancora non appare. 
Anche il tempo se n’è andato. E io resto solo, dopo la fine.