Ivan Fantini
Irma armalli

breve storia con anagrammi
Irma  Armalli  vuole  essere  lasciata  lì,  così  come  sta,  ai  piedi  dei  rami, 
senza  armi.  Vuole  essere  lasciata  nella  sua  quotidiana  silenziosa 
insubordinazione, quasi invisibile, fuori mira. Ma lì ora è tutto nero, e 
l'odore  di  fumo  e  la  fuliggine  impregnano  l'aria  e  la  terra.  La 
desolazione  provocata  dall'uomo  armato  non  ha  più  nulla  a  che  fare 
con le pratiche di mantenimento. 
Lì,  Irma  Armalli,  aveva  piantato  l'azzeruolo  in  filari  lungo  la  strada  di 
campagna che sfociava nei terreni. L'azzeruolo era ornamento, frutto e 
medicina; decorava con i suoi sontuosi pregi estetici durante la fase di 
fioritura  e  di  maturazione;  attirava  la  locale  avifauna  affamata  e  il 
viandante assetato. I suoi cespugli raggiungevano i tre metri di altezza 
grazie  al  tronco  scuro  dalla  corteccia  solcata  e  aveva  un  portamento 
espanso  che  accentuava  la  presenza  delle  spine  sui  rami  tomentosi 
dalle branche nodose; l'azzeruolo era rosso.
Irma Armalli raccoglieva i fiori all’inizio della fioritura nelle prime due 
settimane di maggio e ne essiccava una buona quantità per preparare 
infusi  e  decotti.  Le  preparazioni  avevano  effetti  sedativi,  potevano 
essere  utili  in  caso  di  tachicardia  e  ipertensione,  potevano  essere 
ingerite  in  caso  di  insonnie  e  ronzii  alle  orecchie.  Irma  Armalli 
preparava l'infuso versando abbondante acqua bollente sopra i fiori di 
azzeruolo essiccati e sminuzzati grossolanamente, lasciava in infusione 
e poi filtrava il liquido in bottiglie di vetro, a volte aggiustava il gusto 
con  il  miele.  Per  il  decotto  faceva  bollire  l'acqua  e  i  fiori  essiccati  a 
fuoco  lento  poi  toglieva  tutto  dal  fuoco  e  lasciava  raffreddare 
mantenendo il contenuto coperto fino a temperatura ambiente; poi lo 
colava.
Irma Armalli raccoglieva i frutti appena avevano completato il processo 
di  maturazione,  dalla  fine  di  agosto  negli  anni  più  caldi,  fino  a  fine 
settembre in quelli miti. La loro polpa succosa era dolce e leggermente 
acidula,  saporita,  aromatica.  Li  conservava  in  cassette  di  legno 
adagiando i frutti su un letto di paglia in cantina dove la temperatura 
era compresa tra i 4­5 gradi; i frutti si conservavano per qualche mese.
Irma Armalli poteva consumare i frutti freschi a volontà e senza alcuna 
limitazione,  erano  squisiti  e  dissetanti;  eccellenti  se  mischiati  in 
macedonie  o  usati  per  confezionare  marmellate  e  gelatine.  Quando  i 
frutti  erano  abbondanti  preparava  anche  ottimi  liquori.  Tagliava  in 
quarti i piccoli frutti e li inseriva in un vaso di vetro, li copriva con alcol 
da liquore e dopo due settimane filtrava il liquido, poi preparava uno 
sciroppo  con  acqua  e  zucchero,  univa  i  due  composti  e  conservava  il 
liquore in bottiglie di vetro.
 
Irma  Armalli  offriva  gli  infusi,  il  liquore  e  la  marmellata  a  chiunque 
passasse da quelle parti.
Ora,  anche  dopo  il  fuoco,  Irma  Armalli  vuole  continuare  a  essere 
lasciata  lì,  così  come  sta,  ai  piedi  dei  rami,  senza  armi,  perché  Irma 
Armalli è estranea alla prospettiva che vuole indagarla, è lontana dalle 
strategie, transita in una sorta di altrove dove la prassi di informalità e 
anonimato confluisce nel silenzio dell'elusività senza rima.
 
Irma  Armalli  vive  con  la  semplicità  e  l'immediatezza  di  un  anonimo 
disertore  che  adopera  le  “armi  del  debole”  in  movimento  negli 
interstizi, nei luoghi d’ombra, nelle zone opache dei mari e non tiene 
conto  dell'attimo  fulmineo  in  cui  tutto  balenerà  lampeggiando,  non 
tiene conto dello splendore con cui il fulgore abbaglierà, sa che la luce 
sarà solo improvvisa, breve, sa che nell'istante fugace del batter d'occhi 
la concitazione si farà eccitazione, l'esagitazione turbamento e che tutto 
si  ridurrà  solo  a  uno  spavento,  a  una  alterazione  dell'ansia,  a  una 
inquietudine irrequieta, a una mania che declasserà a smania.
Irma  Armalli  sa  che  la  confusione  creata  dai  suoi  gesti  tra  i  rami,  dai 
suoi pensieri senza rima, dai suoi atti presi di mira, chiederà attenzione, 
chiederà  di  modificare  i  valori,  di  oscillare,  di  far  fluttuare  il  corpo 
nell'apparente paralisi. Irma Armalli sa che il suo corpo reggerà e non 
fuggirà, starà lì, così, ai piedi dei rami, senza armi. 
Ora,  anche  dopo  il  fuoco,  Irma  Armalli  vuole  continuare  a  essere 
lasciata  lì,  così  come  sta;  vuole  essere  lasciata  nella  sua  quotidiana 
silenziosa  insubordinazione,  quasi  invisibile,  fuori  mira,  ai  piedi  dei 
rami.


precedente
successivo