Luciana Grassi
Confessioni di un pacifista
Ho provato a impiccarmi e le corde si scioglievano, a buttarmi di sotto
e le cadute si attutivano, a camminare nel traffico e le auto mi
evitavano, a spararmi anche, e le pistole si inceppavano. Alla fine degli
esperimenti non ho potuto fare altro che accettare il mio super potere.
Posso camminare in mezzo alle pallottole e nessuna mi colpirà, posso
stare davanti a un'arma puntata a una rapina, accanto a una bomba
umana che mi eviterà nello scoppio. Ci ho messo un po' per capire e
accettare il mio super potere anche perché ha un brutto effetto
collaterale: non mi vede nessuno. Sono invisibile, ma non nel senso
stretto della parola, gli occhi di chi mi guarda mi vedono, il cervello mi
percepisce, ma produco un'indifferenza totale, un disinteresse
completo per la mia persona e le mie azioni. Più vado avanti e più il
potere cresce e con lui anche l'effetto collaterale, prima gli amici mi
dimenticavano al bar e i parenti si dimenticavano di darmi la fetta di
torta ai compleanni, ora non mi chiamano più. Quando gli parlo il loro
sguardo si posa su di me per qualche secondo e poi si svuota, cambia
direzione, come le pallottole e le bombe.
Tutto è cominciato quando ero un bambino. Sono nato negli anni
Settanta in Italia: armi, bombe, stragi ovunque, centrali atomiche che
esplodevano a pochi centinaia di chilometri da casa. Sono il secondo di
un fratello di qualche anno più grande di me, quando sono arrivato era
già armato fino ai denti, pistole a pallini, soldatini, cowboy,
mitragliatrici spaziali, lego per costruire flotte intergalattiche. Una
sovraesposizione alle armi.
A quattro anni ho avuto il mio primo incontro ravvicinato con un'arma
da fuoco. Un posto di blocco sull'autostrada che ci portava al mare, ci
hanno fermato, ci hanno fatto scendere: un uomo alto e allampanato
con occhiali da sole a goccia, una donna con un prendisole a fiori e lo
sguardo di sfida, un ragazzino con i capelli un po' lunghi con la sua
pistola giocattolo dalla punta rossa e io, in fila davanti a una macchina
lunga e azzurra sul cui lunotto sventolavano manifesti di una qualche
festa passata. Il poliziotto stava in piedi dritto davanti a me, lo sguardo
oltre la mia testa e il suo mitra impugnato proprio all'altezza della mia
faccia. Nessuno ci fece caso, erano gli anni Settanta e io cominciavo già
a diventare invisibile. Nei miei ricordi rimaneggiati avevo le mani in alto
e il respiro sospeso; continuammo verso il mare cantando con i
finestrini abbassati Soffia il vento.
A dieci anni un auto nel traffico mi salì su un piede, urlai un po' e mio
padre mi chiese se mi faceva male, non andammo al pronto soccorso.
Più avanti lo zio mi mise una pistola in mano, era un carabiniere, voleva
fare colpo su un ragazzino, pesante, fredda, potenzialmente mortale,
mi fece scendere lacrime di cui mi vergognai all'istante, mio zio si mise
a ridere e non mi guardò più.
A diciassette anni partecipavo a una manifestazione pacifista contro
qualche guerra nel golfo i poliziotti ci dispersero con fumogeni e
cariche, neanche un graffio e neanche una telefonata o una domanda
per sapere se stavo bene.
A vent'anni la prima rapina con il coltello, dammi tutto quello che hai,
neanche il tempo di prendere i soldi e il cellulare che il ladro deluso
era andato via; capita, mi dissero i poliziotti indifferenti alla mia
denuncia.
Più grande passeggiavo in una strada popolare sentii dei botti,
bombette di ragazzini credevo, poi polizia e ambulanze, una sparatoria
a pochi metri da me, nessuno mi fece domande.
Mi sono venuto a rifugiare qui, nella provincia, per trovare la mia
kryptonite, un posto tranquillo e meno esposizione alle armi, per
tornare visibile. Ho cominciato a frequentare sempre gli stessi posti,
bar, alimentari, panetteria, tabacchi e hanno cominciato a rispondermi
al saluto, qualcuno anche a chiedermi da dove vengo, qualcun altro
scambia anche delle piccole battute con me. Purtroppo anche qui le
forze dell'ordine hanno la fondina e i militari sono un po' ovunque, ci
sono anche quelli con lo spadino, loro continuano a non vedermi, a
volte mi urtano e neanche se ne accorgono.
Ma poi avete cominciato a dire tutto ormai è un'arma. Ma certo che
tutto è un'arma! E più ne prendete consapevolezza e più divento super
impercettibile. Un giorno un animale ne ha ucciso un altro con le sue
zanne, un giorno un uomo ne ha picchiato un altro a morte e ha capito
di essere un’arma.
E allora vi siete armati per legittima difesa. La bella ragazza a cui avrei
voluto parlare non mi vede col suo spray al peperoncino nella borsa, il
barista a cui chiedo il caffè non mi sente con la sua pistola nel cassetto,
il vigile col suo sfollagente non risponde alle mie domande.
Lo so che non mi credete, non avete mai sentito parlare di me, ma è
proprio questo il punto.
Sono cose che possono capitare a chiunque, dite, allora potreste avere
anche voi il mio stesso super potere e non averlo ancora capito.
Assuefazione alle armi, il corpo non le percepisce più come un
pericolo, siete immunizzati, ma attenzione agli effetti collaterali.