Ombretta Guerri
Le armi non sono solo armi

Arma: 
Significato dal dizionario 
1.  Qualsiasi  oggetto  di  cui  l'uomo  si  serve  come  mezzo  materiale  di 
offesa  o  di  difesa;  ogni  strumento  fabbricato  appositamente  per  la 
guerra, per la difesa personale, o anche per la caccia o per lo sport del 
tiro a segno.
2.  figurativo  Ogni  mezzo,  anche  immateriale,  impiegato  a  propria 
difesa o in danno d'altri.

Anche il dizionario lo dice. Le armi sono pistole, fucili, sono oggetti che 
fanno  male  fisicamente.  Ma  sono  anche  parole,  gesti,  silenzi  che 
annientano. 
E tu me li hai insegnati tutti i significati di questa parola. Tutti. Un po’ 
lentamente, senza fretta, per non spaventarmi, per fare in modo che io 
rimanessi stordita, senza accorgermene.

L’Amore come le Armi
Non mi sembrava vero, ma tu mi amavi, mi dicevi che ero bella. E per 
me  era  una  grande  novità.  Quello  prima  di  te  mi  diceva  che  dovevo 
dimagrire, che avevo tatuaggi tamarri, che con quel taglio corto e liscio 
sembravo un triste Calimero. Mi piaceva quando mi appoggiavi la mano 
sui  fianchi,  delicatamente,  come  se  mi  volessi  proteggere  dal  mondo. 
Mi  piaceva  quando  mi  sussurravi  all’orecchio  “sono  felice”,  io  di 
rimando ti guardavo un po’ imbarazzata per tutta quella tenerezza. Ed 
era bello. 

Le Parole come le Armi
Poi  un  giorno  mi  hai  detto  “smettila  stronza”,  così,  a  tradimento,  mi 
stavo  lamentando  del  lavoro,  della  stanchezza,  non  stavamo  neppure 
litigando e tu te ne sei uscito così, con quel “smettila stronza”. Io sono 
rimasta  muta,  quasi  sotto  shock,  poi  tu  ti  sei  messo  a  ridere  e  mi  hai 
detto  “ma  stavo  scherzando  amore”,  ma  io  lo  sapevo  che  non  stavi 
scherzando. Io lo sapevo. E dopo ho pianto. Sola. Chiusa in camera.

I Silenzi come le Armi
Tu non parlavi per giorni quando litigavamo. Così, per cose futili. Molto 
spesso perché volevo uscire con i miei amici che tu “non apprezzavi”, 
proprio  così  mi  dicevi  “i  tuoi  amici  non  li  apprezzo”  ed  io  cercavo  di 
approfondire  e  capire,  ma  tu  silenzio.  Solo  un  silenzio  di  ghisa, 
pesante,  accusatorio,  per  farmi  sentire  in  colpa.  Quella  fottuta  colpa 
che sentivo addosso da tutta la vita senza nessuna vera ragione.

Le Violenze come le Armi
Uno  schiaffo,  uno  schiaffo  forte,  ben  assestato,  improvviso  e  crudele. 
Solo  perché  mi  ero  rifiutata  di  cambiare  vestito,  quel  vestito  troppo 
scollato: “Vatti subito a togliere quel vestito, sembri una puttana”. Detto 
a me sembrava quasi una battuta comica, a me che avevo i seni piccoli 
come noci, a me che indossavo vestiti larghi come tende quasi sempre, 
per  coprirmi  il  più  possibile.  Io  allora  ti  ho  detto  “No”,  un  no  senza 
appello. Ed è stato allora che ho visto quell’odio nei tuoi occhi, un odio 
secco, senza sfumature. Poi lo schiaffo. Il dolore fisico è arrivato dopo 
però,  prima  ho  sentito  una  forte  fitta  al  petto,  una  fitta  da  togliere  il 
fiato, perché mi era diventato tutto chiaro: era stata una farsa, tutta una 
farsa,  l’amore  che  dicevi  di  provare  per  me.  Era  solo  possesso, 
desiderio  di  colmare  un  vuoto,  usando  un’altra  persona.  Dopo  ti  sei 
scusato, hai pianto, mi hai supplicato di perdonarti, mi hai giurato che 
non sarebbe più successo. Io ho accettato tutto ma lo sapevo che non 
era vero, che sarebbe ricapitato. Ed infatti è successo di nuovo. Poi di 
nuovo. E di nuovo ancora.

Gli Oggetti come le Armi
Era  passato  un  anno  da  quel  primo  schiaffo.  E  ne  erano  arrivati  altri, 
tanti  altri.  E  poi  spintoni,  calci,  pugni.  Le  prime  volte  avevo  reagito, 
dopo  avevo  capito  che  era  meglio  stare  immobile,  rannicchiarmi  per 
permettere alla tua furia di sfogarsi. All’inizio avevo negato l’evidenza: 
ero caduta dalla scala, ero inciampata, ero scivolata. Poi era diventato 
impossibile  negare.  Mia  madre  piangeva,  mio  padre  mi  minacciava,  i 
miei  amici  insistevano:  ti  dovevo  lasciare.  Ma  io  non  riuscivo.  Come 
potevo  accettare  di  aver  sbagliato  ancora  una  volta?  Di  essere  sola 
ancora una volta? Io ti amavo, io avevo bisogno di te. Senza sarei morta. 
Ne ero certa. Poi una sera la morte è davvero arrivata. Ma era la tua. Eri 
di  nuovo  lì  a  picchiarmi  per  il  solito  futile  motivo  che  non  ricordo 
neppure.  Ed  eri  più  cattivo  del  solito;  mi  insultavi:  “troia”,  “puttana 
maledetta”, “devi fare quello che ti dico io, hai capito?”. E non so cosa 
sia scattato, ho sentito distintamente un click nella mia testa. Mi sono 
alzata  da  terra,  tu  mi  spingevi  e  continuavi  ad  urlare.  Allora  ho 
allungato la mano ed era lì, il vaso di cristallo che ti piaceva tanto, che 
avevamo comprato in quel bel negozio di design in centro. È stato in 
quel momento che il vaso è diventato un’arma. L’ho usato con violenza 
sulla  tua  testa,  con  tutta  la  forza  che  avevo.  Ed  ho  continuato  anche 
quando  ormai  non  parlavi  più,  anche  quando  ormai  eri  sbattuto  per 
terra come un sacco di patate e non respiravi.
Poi mi sono sdraiata vicino a te ed ho cominciato a piangere. 
Perché ormai mi era chiaro: ero di nuovo sola.  


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