Rin Don Dante
Street food

Budapest, novembre.
Ultime  ore  nella  città  austro­ungarica;  passeggiamo  lungo  il  Duna  in  attesa 
dell'orario della partenza. 
La strada si allarga in una piazza rettangolare trasformata in cantiere di piccole 
casette di legno: a breve si trasformerà in uno dei tanti mercatini di Natale con 
un'infinità di gingilli Made In China ormai internazionali e pochissimi oggetti 
di autentico artigianato. 
In  fondo  alla  piazza  sono  già  state  allestite  e  in  funzione  una  serie  di 
bancarelle di street food da cui si sprigiona odore di salsiccia, aglio, paprika. 
Ci avviciniamo al banco che offre Langos, frittelle di pasta e patate, pagnotte 
ripiene di zuppa di goulash, stinco al forno.
Dopo una breve attesa in fila e un cospicuo investimento, ci accomodiamo ad 
un  tavolo  ricavato  da  botti  dismesse  a  fianco  di  un'altra  botticella  simile 
occupata da una coppia con due bambini; la mamma imbocca il più piccolo 
con  grosse  cucchiaiate  di  una  pappa  verdastra.  Di  fronte  a  noi,  su  una 
panchina, di fianco ad un enorme bidone di rifiuti stracolmo, siede un signore 
anziano.  Indossa  un  vecchio  completo  a  giacca,  il  papillon  e  un  logoro, 
sporco cappotto di colore indefinito tra il grigio e il marrone. Ai suoi piedi è 
accucciato un cane dello stesso colore. La sua povera, consunta eleganza attira 
la mia attenzione ma è il ceruleo e fisso sguardo che la cattura. 
Padrone e cane hanno la stessa e vuota fissità.
Il bambino della famiglia accanto a noi piange già da un po' e si lagna nella 
sua lingua incomprensibile. Il tono del capriccio invece è riconoscibilissimo. I 
genitori,  dopo  uno  svogliato  tentativo  per  calmarlo,  si  alzano  parlando  tra 
loro; la donna dice qualcosa all'uomo. Lui raccoglie gli avanzi del pasto in un 
unico  contenitore  che  appoggia  sul  grosso  cesto  dei  rifiuti,  mentre  si 
allontanano. 
D'improvviso  l'anziano  elegante  scatta  in  piedi  con  un  bagliore  avido  nello 
sguardo,  raccoglie  lo  stinco  al  forno  dai  rifiuti  e,  tenendolo  nella  mano,  lo 
addenta voracemente: strappa la carne e la mastica con bramosia. 
È in quel momento che i nostri sguardi si incontrano: il suo d'un tratto vivo e 
fiero, il mio un misto di sorpresa, pena, tenerezza e colpa.
Continuando a mangiare e masticare energicamente l'elegante vecchio si gira 
e mi porge le spalle. Rifiuta la mia inutile compassione.
Raccolgo le mie cose, senza parole, con la sconfortante sensazione di essere 
stata fraintesa e rifiutata. 
Con sentimenti da rifiuto sociale mi avvio all'aeroporto. 


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