Arto Humo
Meteoriti

“Porcadiquellaputtana!”, faccio io mentre sbatto alle mie spalle la porta
a zanzariera che dal cortile introduce in cucina, “Ho appena visto
cadere un meteorite! Merdamerdamerda! Un meteorite!”
Mia sorella, che sta giusto finendo di lavare i piatti, mi guarda come
guarda lei di solito quel perfetto idiota di suo fratello, e prende
quell’aria sua di superiorità che conosco fin da quando eravamo
bambini: “Avrai visto una meteora, perdio! C’è bisogno di agitarsi tanto?
Si chiamano meteoriti quando cadono sulla terra, se si bruciano
nell’atmosfera sono meteore, capito? METEORE, non METEORITI. Sai
che novità in questo periodo dell’anno! Perché non mi dai una mano
piuttosto? Devo fare tutto io qui dentro?”
“Può anche darsi che fosse una meteora”, dico io, “comunque ha
appena colpito il fienile del nonno. Sta bruciando.”
“Cosa?”, fa mia sorella improvvisamente interessata mentre le cade dalla
faccia l’espressione da prima della classe, “Ma che cazzo dici?”, e si
precipita fuori dalla porta.
Oltre la valle, sulla collina di fronte, si vedono le fiamme altissime che
si alzano dal fienile del nonno. “Andiamo!”, dice mia sorella mentre
correndo si toglie i guanti gialli di gomma, “Che cazzo stai aspettando?”
Così saltiamo sulla macchina di mia sorella, che io non ho mai preso la
patente, e ci buttiamo giù per la stradina che scende al torrente, e poi
ancora su verso il fienile. Dalla strada il fuoco rimane nascosto fino
all’ultima curva, ma si può vedere chiaramente il bagliore rosso sullo
sfondo da occhio nero del cielo notturno, e non posso fare a meno di
pensare che sia molto bello.
Sulla collina c’è questo inferno di fiamme e lapilli che fino a un’ora
prima era stato il fienile del nonno, e davanti al fienile c’è il nonno nel
suo pigiama a righe e col cappello in testa, impegnato a santificare
l’aria seminando tutto intorno, come uno di quei cosi per innaffiare,
delle bestemmie affilate come coltelli, che tirano in ballo praticamente
tutte le gerarchie celesti. Io e mia sorella ci avviciniamo con cautela nel
bagliore rosso dell’aia, facendo molta attenzione perché oltre a
chiamare per nome e cognome tutti i santi il nonno sta roteando con
una certa furia il suo bastone da passeggio.
“Cosa succede nonno?”, chiede mia sorella tanto per far presente che
siamo lì.
“A te cosa cazzo sembra che succeda?”, fa lui furente.
“A me sembra un bel casino”, risponde lei beffarda. Io a questo punto
pregusto una mia visione che contempla la furia del nonno
inevitabilmente dirigersi dalle alte sfere celesti alla testa di legno
strafottente della mia amata sorella e coinquilina, ma con mio
disappunto a salvare la sciagurata dalla furia dell’avo, proprio in quel
momento, si sente la sirena dei pompieri arrampicarsi su per la collina.
Arrivano sull’aia con un camion e un’autopompa gigantesca dalla quale
con grande calma scende quello che a prima vista sembra essere il
comandante.
Il comandante dei pompieri, che sembra un grosso maiale in uniforme,
guarda l’incendio, si toglie il casco, si gratta la testa e si rimette
lentamente il casco, poi si gira verso il nostro gruppetto e fa un
sorrisino di traverso alla tenuta da cerimonia del nonno. Mia sorella
risponde con un ghigno di intesa.
“Noi ci proviamo”, dice allora il comandante dei pompieri dopo un
lungo silenzio indicando il fienile del nonno che grida e scricchiola alle
nostre spalle, “non mi farei troppe illusioni però: mi sa che ormai è
andato.” Infatti il fuoco che ha preso il fienile ruggisce sempre più
feroce, e più feroce ancora, se possibile, ruggisce il nonno, che ha
ripreso quella sua litania blasfema, nella quale frullano santi, madonne,
angeli e arcangeli e persino, a carriolate ricolme, dei poveri cherubini
innocenti.
I pompieri srotolano le manichette collegandole all’autopompa e io e
mia sorella li guardiamo distrattamente, più o meno come si guardano
al circo gli inservienti che montano la gabbia per le tigri prima del
numero.
Intanto, il nonno se ne sta accovacciato sui talloni, e schiuma di rabbia
e macina le sue bestemmie, che vengon fuori così veloci da essere
ormai indistinguibili, e va avanti picchiando furiosamente il bastone per
terra.
“Ma perché te la prendi tanto?”, chiede mia sorella, “quel cesso di
fienile era solo una catapecchia, e non c’era niente di valore dentro,
solo un mucchio di fieno vecchio che era lì almeno dagli anni novanta”.
“E tu che cazzo ne sai?”, fa il nonno ribollente di ferocia puntando due
occhi di brace sulla mia deliziosa sorella.
“Fa un po’ come ti pare”, dice lei guardando i pompieri che intanto
fanno il minimo sindacale dirigendo uno spruzzetto d’acqua miserello,
poco più di una pisciatina di cane, sul fuoco dell’inferno.
“E le ossa?”, dice allora il nonno.
“Quali ossa?”, facciamo io e mia sorella con improvviso interesse
girandoci di scatto.
“Quelle di vostra nonna, perdio!”, risponde il nonno, e sembra anche
un po’ risentito per il nostro stupore: certo, le ossa della nonna, che
diamine!
Mia sorella lo guarda con una certa severità: “Ma la nonna non era
scappata ai caraibi con il commercialista nel novantadue? Ci hai fatto
una testa così per tutta l’estate, mi ricordo bene!”
“Cosa c’entra? Quello era perché il grandissimo stronzo era sparito con
i soldi dell’IVA, mica per la nonna, la storia della nonna l’avevo
aggiunta io”, fa il nonno.
“E la nonna quindi?”, dico io, e intanto sento da qualche parte, giù in
fondo, alla base dell’intestino tenue, o tra il diaframma e il cuore, una
specie di malessere, un brivido improvviso.
“Morta”, dice il nonno.
I pompieri hanno smesso di spruzzare acqua sulle fiamme, fan su la
manichetta e si stanno allontanando un po’ in previsione del crollo del
tetto.
“Come sarebbe 'MORTA' ?", fa mia sorella.
“Sì”, risponde il nonno trascinando i piedi e guardando i segni che
lasciano giù sulla polvere dell’aia, “ecco, per dire: facciamo conto che la
nonna sia morta all’inizio di quell’estate del novantadue... Insomma, a
quell’epoca le cose cominciavano ad andare abbastanza male per noi
agricoltori, il frumento non te lo pagavano più un cazzo, io avevo le
rate del trattore, e in più quello stronzo di commercialista se l’era data
a gambe coi miei soldi per l’IVA del trimestre. La pensione di tua nonna
faceva comodo...”
“Aspetta, aspetta! Mi stai dicendo che la nonna è morta nel novantadue,
e tu hai raccontato che era scappata col commercialista per continuare
a riscuotere la sua pensione per tutti questi anni?”, chiede allora la mia
perspicace sorella.
“Avevo la delega sul suo conto corrente”, fa il nonno come se fosse la
cosa più naturale del mondo, “lei è morta, io ho portato il corpo nel
fienile, ci ho messo sopra qualche decina di quintali di fieno e lì è
rimasta.”
“Cazzo!”, fa la mia dolce sorella con una certa ammirazione.
“Un momento”, dico io, “e di cosa è morta la nonna? Io mi ricordo che
stava benissimo.”
“Ma cosa importa adesso di cosa è morta?”, dice il nonno un po’ irritato
facendo un gesto di impazienza, “adesso ci son cose più urgenti: metti
che quando il fuoco è spento i pompieri facciano delle indagini per
scoprire la causa dell’incendio, qui saltano fuori le ossa di vostra
nonna, e scoppia un bel casino!”
“Eh, già”, fa mia sorella che è dotata di un certo senso pratico,
“ammesso di dare per buona la storia della morte naturale della
nonna...”, e qui il nonno le lancia un’occhiata di traverso che su mia
sorella rimbalza come una pallina da tennis su un muro, “insomma:
oltre all’occultamento di cadavere c’è la truffa alla previdenza sociale,
son più di vent’anni di pensione che ti sei messo in tasca.”
“Ehi, un momento!”, fa il nonno improvvisamente indignato, “non me
li sono mica messi in tasca tutti io! Chi credi che abbia pagato il tuo
corso di inglese? E la sostituzione della caldaia, e le lezioni di guida di
tuo fratello? Che poi tra l’altro non son servite a un cazzo perché non
ha mai preso la patente... Tua nonna le ha pagate! Insomma, voglio
dire, la sua pensione! Un po’ di rispetto perdio!”
Mia sorella lo guarda con una certa aria di disapprovazione.
“Dovete darmi una mano”, fa lui lamentoso guardando di nuovo nella
polvere.
Così finisce che all’alba, dopo che i pompieri sono andati via dicendo
che sarebbero tornati più tardi per l’inchiesta, ci ritroviamo io, mia
sorella e il nonno a frugare tra la cenere ancora calda cercando la
nonna.
Il nonno ha avuto almeno la decenza di andare a cambiarsi, e adesso
invece del pigiama a righe porta la sua solita vecchia tuta da meccanico
bisunta con la scritta ‘trattori Landini” e un paio di stivali di gomma
verdi.
“Cazzo! Questa roba scotta”, si lamenta.
“Stai zitto e cerca! Ti ricordi dove l’avevi messa?”, gli fa mia sorella.
“Dovrebbe essere più o meno qui”, risponde il nonno guardandosi
attorno con le braccia immerse fino ai gomiti nella cenere come un
piccolo gorilla rinsecchito.
“Bingo!”, dice mia sorella estraendo dalla cenere un femore bianco di
calce, “Ciao nonna!”
Io penso che se c’è nella famiglia una che ha ereditato tutta la
stronzeria del nonno, quella è mia sorella, che intanto pare che abbia
trovato il resto del tesoro, e tutta contenta tira fuori da una nuvola di
cenere grigia un osso dopo l’altro.
Mettiamo le ossa recuperate in una vecchia sacca sportiva del nonno,
nella quale sono rimasti un paio di calzini sporchi irrigiditi dal tempo
di quando giocava a tennis.
Quando finalmente mi imbatto nel cranio della nonna abbiamo tutti la
faccia grigia come penitenti, e le braccia ricoperte di cenere fino ai
gomiti.
“Contiamole”, dice il nonno agitando la sacca. Le ossa fanno un rumore
di legnetti sbattuti uno contro l’altro, “dobbiamo vedere se sono tutte.”
“Perché”, dice mia sorella, “tu sai quante dovrebbero essere?”
“Senti un po’ signorina”, dice il nonno risentito, “io tua nonna la
conoscevo meglio di chiunque altro, ma le ossa non gliele ho mai
contate. Non ve le insegnano a scuola queste cose? Credevo lo sapeste.
In scienze non si studia quante ossa ci sono in un corpo umano?”
“Ma io che cazzo ne so?”, fa mia sorella che a scuola non si ricorda
neanche di esserci andata.
“Lasciamo perdere”, dice il nonno, “secondo me ci sono tutte. E poi al
limite sarà rimasto indietro qualche ossicino piccolo, che se lo trovano
penseranno che sia un osso di pollo. Hai visto che personaggio è il
comandante dei pompieri, che cazzo vuoi che capisca quello lì?”
“E adesso che ne facciamo?”, dico io guardando la sacca sportiva dove
abbiamo infilato quello che resta della nonna, e devo dire che comincio
a sentirmi davvero un po’ a disagio.
“L’unica...”, fa il nonno con aria di sapere il fatto suo, “...è scavare una
buca in fondo al campo del ronchetto, giù al limite del bosco. Lì la
nonna ci starà benissimo. Vado a prendere le chiavi del trattore.”
Più tardi, quando abbiamo ricoperto di terra la sacca sportiva, sporchi
di terra e di cenere fino ai capelli, ci fermiamo un attimo sul bordo
della tomba della nonna a fingere raccoglimento.
“Qualcuno vuole dire qualcosa?”, fa il nonno con aria seria grattandosi
il naso.
“Sì”, dice mia sorella guardando la terra smossa, “che sei proprio uno
stronzo. Nonna, perdonalo se puoi.”
“Bene”, fa il nonno per niente turbato, “adesso sarà meglio sbaraccare
prima che tornino i pompieri per l’indagine. Faccio un caffè?”
“No grazie”, dico io.
“Senti, adesso ce lo puoi anche dire”, fa mia sorella, “l’hai fatta fuori tu
la nonna?”
Il nonno fa: “Shhhtt!” con un dito davanti alle labbra, e si porta l’altra
mano all’orecchio a coppetta come a raccogliere i suoni dall’aria, e fa lo
sguardo attento con le sopracciglia aggrottate: “Uh, mi sembra di
sentire una macchina che vien su per la collina. Che siano i pompieri ?
Sarà meglio che porti via di qui il trattore”, dice.

Tornando verso casa mia sorella guida piano, con l’aria assorta, senza
dire una parola.
“Hai visto che era un meteorite?”, dico io.


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