Gianfranco Mammi
Due case
“Da noi,” mi spiegava l’ingegnere italiano mandato dalla ditta mentre lo
accompagnavo in macchina al nuovo cantiere della diga, “quando si dice
che qualcuno o qualcosa sta a casa di Dio, vuol dire che sta veramente
molto lontano – anche se la distanza non è mai precisata. In effetti non
si tratta di un’unità di misura vera e propria, che ammetta multipli; per
esempio, rispetto a Modena, il Polo Nord è a casa di Dio, ma anche il
Polo Sud è semplicemente a casa di Dio – e non a due case di Dio, o a
una casa di Dio e mezza.”
Io lo lasciavo dire, anche perché qui da noi nell’Africa cosiddetta
subsahariana non lo sappiamo mica dov’è questa cosa chiamata
Modena, e i poli sappiamo giusto che esistono ma non ce ne occupiamo
mai.
“Anche il sole e luna, i pianeti e le stelle e persino la Via Lattea sono a
casa di Dio e stop,” continuava l’ingegnere. “Certo, l’immagine del sole
che sta a casa di Dio sarebbe piaciuta molto a Dante Alighieri, ma
quando il Poeta ha fondato la lingua italiana non ha avuto tempo per
creare anche questa metafora o forse non gli è venuta in mente. Non si
sa chi l’abbia inventata, ma si dà per scontato che non sia stato Dante
Alighieri. Un possibile sospetto potrebbe essere Giovanni Pico della
Mirandola, con tutte quelle tesi e idee che gli giravano per la testa, ma
anche in questo caso mancano le prove.”
“Very good,” gli dicevo anche se non sapevo chi fosse quella gente, e
intanto lo lasciavo blaterare perché così non faceva troppo caso alla
strada, che anche per i nostri parametri era veramente disastrosa.
“Chiunque sia stato il responsabile,” continuava l’ingegnere dietro ai
suoi eleganti occhiali da sole italiani, “c’è comunque qualcosa che non
quadra: se Dio, come sostengono in molti, è dappertutto, come fa la sua
casa a essere lontana? E a maggior ragione, se Dio è dentro ognuno di
noi, come sostengono tanti altri, come fa la sua casa a essere lontana?”
“Già, come fa?” gli davo corda mentre cercavo di schivare duecento
biciclette che erano sbucate di colpo dalla savana.
“Ma si sa che il linguaggio non è razionale, e non è nemmeno una
cosa seria, no?” insisteva quell’imbecille d’un ingegnere italiano.
“Ah, no? Ma guarda,” e intanto maledicevo in silenzio un ciclista che si
era fatto investire dal mio fuoristrada; ma il ciclista era tanto magro che
l’ingegnere non si è accorto di niente, per fortuna, e ha continuato il
suo ragionamento:
“D’altra parte esiste – sempre da noi – l’espressione “a casa del
diavolo”, che però ha una sfumatura un po’ diversa; una cosa che è a
casa del diavolo può anche non essere lontanissima, però la strada che
vi ci porta è quanto meno infernale. Si tratta, in sostanza, di un criterio
qualitativo e non di un criterio quantitativo; o meglio, si “misura” la
fatica che si fa per arrivare in un dato posto, e non la distanza che ci
separa da quel luogo. In effetti, un posto che si trovi a casa di Dio
potrebbe risultare facilissimo da raggiungere (per esempio facendo in
un sol colpo tremila chilometri in aereo, ecc.), mentre un posto a casa
del diavolo potrebbe essere a tre chilometri di distanza, ma in cima a un
cocuzzolo quasi inaccessibile ed estremamente pericoloso. Mi spiego?”
Io gli ho fatto segno di sì con un grugnito, ma ero preoccupato perché
nell’altro senso stava arrivando a balla una grossa betoniera della nostra
ditta, e faceva dei grandi zigzag lungo la strada perché a quest’ora del
pomeriggio i nostri camionisti sono tutti ubriachi.
L’ingegnere invece era tranquillo, tutto preso dal suo ragionamento:
“Ci sono poi dei casi particolari, in cui un posto si trova sia a casa di
Dio che a casa del diavolo, come per esempio la Valle della Morte e il
Mar Morto...”
Ecco, è stato in quell’istante preciso che abbiamo centrato la betoniera.