Arto Humo
Il treno passa una volta sola

In questi giorni, nel periodo dell'anno infine benedetto dagli dei e cazzuto di
splendore, l'aria è così piena di profumi la mattina che dopo un po' che vado
in giro son tutto innamorato, e se non me ne accorgo e continuo a respirare
allora non capisco più niente, e vado a sbattere. Contro i fittoni di pietra,
contro i pali dei semafori pedonali, sui cordoli.
E tutti me lo dicono: “Sta attento Cosmo Piraccini, che te ti innamori!”,
ma io non li sento, e se anche li sento non posso farci niente, che
innamorarmi è la cosa che so fare meglio, e finisce che di tutto mi innamoro,
e allora devi cogliere le cose al volo Cosmo Piraccini, che il treno passa una
volta sola!
E’ così che son fatto, arraffone come un gatto in amore nell’estate dei
miei sedici anni, lo so da quella volta che ero piccolo, a passeggio col nonno,
e mi sono trovato lì con in mano un portafoglio trovato per terra sul
cavalcavia della Madonnina, quello che passa sopra la linea ferroviaria.
E mentre ero lì col portafoglio in mano, e dentro ci saran state anche
venti o trentamila lire, e pensavo a cosa fare, il nonno, che era saggio di
briscole e bestemmie, aveva capito l’affanno del cuore, che di quel portafoglio
di pelle mi ero proprio subito innamorato, e aveva detto: “Metti in tasca
Cosmo Piraccini, che il treno passa una volta sola!”. E proprio in quel
momento sulla ferrovia lì sotto era passato un treno fischiando, un segno era,
e avevo gridato di stupore riconoscente per quella rivelazione del nonno e di
gioia innamorata per quelle trentamila lire trovate e prese, e poi, dopo, per la
scoperta dell’urgenza pazza dell’amore, che nulla frena e che va colta al volo,
tutto prendere, niente lasciare, come se fosse la prima e l’ultima volta nella
corsa del mondo.
E così da allora vivo io, Cosmo Piraccini che si innamora, con la
 consapevolezza del mio essere debole e senza pelle, fatto di fatalità arraffona
che tutto deve avere, prima che sia tardi e non ci sia più tempo per niente.
La volta successiva che mi sono innamorato è stata pochi giorni dopo,
quando nel cortile della Silvia Bonini erano nati i gattini, e li avevo amati
subito all’istante quei batuffoli di pelo ciechi, che a prenderli in mano sentivi
tutte le ossa delicate sotto le dita, con la voglia di stringerli forte, e mentre li
prendevo dalla scatola di cartone avevo sentito la voce del nonno risuonare di
nuovo, e la voce diceva: “Prendili Cosmo Piraccini, che il treno passa una volta
sola!”, e io li avevo presi, tutti, sei gattini ciechi che amavo teneramente, da
nascondere tra i cespugli di fianco alla massicciata della ferrovia.
Aveva pianto tutta la sera la Silvia Bonini per i gattini spariti, e la gatta
come impazzita si rotolava nella polvere del cortile, ma io ero felice, perché
ero innamorato di quelle bestiole fragili, e non pensavo affatto, non mi
interessava, che gattini così piccoli avessero bisogno della madre. In pochi
giorni erano morti uno dopo l’altro, ma a me ormai poco importava, che ero
già di nuovo innamorato, questa volta della bicicletta di mio cugino.
Avevo scoperto ormai a quel punto che io, Cosmo Piraccini, non tutto
quello che amavo lo potevo avere. La bicicletta da corsa rossa di quel panzone
ciccioso di mio cugino appunto, lui la parcheggiava in cortile quando ci
veniva a trovare, e io rimanevo folgorato, e la desideravo come mai avevo
desiderato altro, più dei gattini mille volte, più del portafoglio diecimila, ma
non avrei mai potuto prenderla, perchè non avrei saputo dove nasconderla, e
un Cosmo Piraccini in giro per il quartiere folle d’amore a cavallo dell’oggetto
rosso del desiderio sarebbe stato additato, e scoperto e punito di mille
tormenti. Ma perdìo se la amavo! Il desiderio e l’amore mi bruciavano dentro
allora, come quando per ingordigia ci si infila in bocca una forchettata di
polenta caldissima senza prima soffiarci sopra.
E’ stato così, con la bicicletta da corsa rossa di quel ciccione di mio
cugino, che ho scoperto che se capitava che mi innamorassi di qualcosa,
soddisfare il mio desiderio era la cosa più importante dell’universo, ma se
l’oggetto del mio amore non poteva essere mio, allora in quel caso la secondacosa più importante dell’universo era che non fosse di nessun altro. Arraffare
o distruggere in un attimo intenso di brama e di gioia da cogliere al volo,
questo era tutto quello che capivo, e sempre sentivo la voce del nonno
ripetere ancora: “il treno passa una volta sola, Cosmo Piraccini”.
Così, in un pomeriggio vigliacco che il panzone grassone era venuto a
trovarci e se ne stava su da mia madre in cucina, a ruminare zuppa inglese con
l’alchermes, preso dall’amore che tutto governa e nulla teme mi ero
avvicinato alla bicicletta, e tagliavo le gomme con il coltellino svizzero, e poi
rigavo la vernice rossa e la grattavo dai tubi con la lama seghettata, e
nell’attimo estatico del piacere mormoravo ancora ed ancora: “il treno passa
una volta sola, il treno passa una volta sola”.
Molto pianse quella volta il lardone cagone di mio cugino, e lo
consolavano inutilmente i miei genitori, e mia zia, indignata, gridava alla
malvagità della gente straniera venuta fin dentro al quartiere, a vivere in
mezzo a noi per fare poi scempio invidioso di una ciclo da corsa. E intanto,
nell’ombra, appoggiato ad un muro io, Cosmo, fremevo di amore sconfitto e
appagato, e ridevo.
Ma l’amore, si sa, se unito all’idea che si possa e si debba cogliere al volo
ogni cosa, la storia del treno che passa e non torna, porta poi quasi sempre a
condotte imprudenti, sfacciate, a scoprire le carte, e un poco per volta nel
nostro quartiere, a furia di treni passati e presi al volo, mi ero fatto un nome
rapace, di poco di buono.
“Suo figlio mi ha rubato le mele”, diceva allora il bottegaio a mia madre,
che, incredula e stanca, difendeva come meglio poteva quel suo ragazzo
derelitto Cosmo Piraccini, mentre io, nascosto in un angolo, le ginocchia sul
petto, consumavo il mio amore improvviso e ormai adolescente di pomi
dorati.
Volavo di fiore in fiore come un cazzoso insetto strafatto di nettare,
innamorato di tutto e di ogni cosa col desiderio di averla, e tutti erano treni di
passaggio rapido e unico, da prendere al volo come diceva il nonno, e
consumare di passione veloce: furono le tette della signora del piano di sotto,
 palpate nell’ascensore mentre lei mi guardava con gli occhi di fuori incapace
di un grido, un orologio col cinturino d’argento che era di mia madre, rapito
in furia da un cassetto e distrutto a colpi di pietra una volta svanito l’amore, la
bocca di petali rosa del fratello piccolo dell’Elena Zanfi, baciata una sera di
giugno per un cono gelato.
E così l’amore e la storia dei treni avevano fatto di me un brutto animale,
che la gente evitava, e se mi vedeva arrivare metteva al riparo le cose preziose,
e le madri dicevano ai figli, che lì c’era Cosmo, gran brutta persona, un paria,
un reietto, e sopra ogni altro ce l’aveva con me il gruppo di bulli della
compagnia del quartiere, perchè io, per amore, rigavo le moto e insidiavo le
loro ragazze. Allora, al vedermi, tiravano sassi, e facevan battute feroci, mi
chiamavano cane in amore, e spesso dovevo fuggire, nascondermi e stare al
riparo. Ma poi ritornavo a ronzare lì intorno, perché non c’è niente che possa
fermare l’amore, ed ero come quel cane che il padrone bastona, ma cazzo, lui
sempre ritorna, perchè quello è il padrone, e il padrone di Cosmo era amore
bruciante e feroce e la voglia di prenderlo in mano.
Sono arrivato così a questa estate dei miei sedici anni, quando in un
pomeriggio caldissimo sto seduto sull’orlo di un abisso a succhiare un
ghiacciolo al limone, e lì passa la bionda Elisa Martinelli, ed Elisa la bionda
d’un tratto si ferma e mi guarda, e ha occhi di sirena, e negli occhi con grande
sorpresa ci trovo riflesso per la prima volta l’amore per come si vede dall’altra
parte del vetro e verso di me, che se fino ad oggi milioni di milioni di volte mi
sono innamorato di amore non colto e desiderio a senso unico, negli occhi
azzurri della ragazza ci trovo con grande sorpresa un amore che chiede
risposta, lì pronto per me.
Risuona di nuovo la voce del nonno: “il treno passa una volta sola”, e
mai come ora mi sembra che il senso di tutto sia cogliere il fiore, e seguo la
bionda sirena tra l’erba matta e gli sterpi che corrono lungo i binari del treno.
Ma quando allungo le braccia a cogliere infine un amore a due cuori, la
ragazza si scosta, e fa un ghigno feroce, e non mi ama più ora, perché è
soltanto un’esca, felice del proprio lavoro, e infatti da dietro i cespuglicompare la banda dei bulli, con ghigno feroce anche loro e assetati di odio e
vendetta.
In un attimo scatto, e corro allora, corro veloce, allenato da anni di vita
rapace, ma loro non mollano, sono tenaci, e voliamo gridando lungo la
massicciata della ferrovia, coi piedi che scivolano sulle piccole pietre
rugginose rotolanti.
Quando infine azzardo girare la testa e vedo che il gruppo rimane
lontano, un grido di gioia e vittoria mi gonfia la gola, ma subito muore, che
poco più avanti da dietro un muretto appare un altro piccolo gruppo di bulli
e converge su di me, che me l’han tesa proprio bene la trappola, il pesce ha
abboccato, e il pesce è Cosmo Piraccini.
Allora io, per evitare che mi taglino la strada, all’improvviso scarto di lato
e risalgo la massicciata per attraversare i binari.
I bulli si fermano impietriti e sulle loro facce vedo lo sgomento, lo sanno
che li ho fregati di nuovo, “ATTENTO! IL TRENO!” gridano, ma io non li sento:
ce l’hai fatta Cosmo! Salta adesso oltre i binari, supera la linea di acciaio,
anche stavolta sei fuggito, libero di tornare a respirare l’aria profumata e
innamorarti ancora, dimentica Elisa la bionda, traditrice maledetta di mille
inganni, corri verso un nuovo desiderio, coglilo al volo, che il treno passa una
volta sola.


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