Ugo Cornia
Fucilazione in effigie

Era ancora quell’epoca che per aver due soldi, anche se nostro padre 
non  gradiva  che  lavorassimo  prima  di  esserci  laureati,  perché  lui, 
facendo troppe cose, non si era laureato ma aveva mollato l’università a 
metà,  e  io,  di  nascosto,  invece  riuscivo  sempre  a  partecipare  alla 
distribuzione  dei  certificati  elettorali,  che  era  una  cosa  veloce  e 
abbastanza ben pagata e di elezione in elezione, tra locali, nazionali e 
regionali,  ce  n’era  quasi  tutti  gli  anni.  E  quindi  vado,  mi  prendono,  e 
quella volta mi danno alcuni isolati in zona Musicisti. E così va a finire 
che un bel pomeriggio, a metà distribuzione, in un palazzone io suono 
un campanello, e il cognome mi diceva qualcosa, come se l’avessi già 
sentito, ma non capivo cosa, e infatti era l’amico di un mio amico, per 
di più collega, cioè studiava filosofia a Bologna anche lui, e “Ciao ciao 
come va?” e eccetera eccetera, soltanto che aveva in casa una coppia di 
dobermann,  maschio  e  femmina,  e  lui  mi  dice:  “Vieni  dentro”  e  io 
chiedo: “Ma sono buoni i cani?”, “Sì sì, tranquillo, sono buonissimi, poi 
ci  sono  io.  Dai  che  andiamo  in  cucina  a  farci  un  caffè”.  Allora  lì  in 
cucina io mi siedo sulla seggiola che lui mi indica, che era quella più 
vicina alla porta, e lui prende la macchinetta e la apre e ci mette il caffè 
e la mette sul gas, e io di colpo mi sento qualcosa a lato, e quella cosa 
era il dobermann maschio, alzato un po’ in piedi, che aveva il suo muso 
a lato del mio collo, a due centimetri, e annusava o faceva qualcosa, e 
lui  mi  dice:  “Mi  raccomando  sta  immobile,  non  muoverti,  non 
muoverti”  e  poi  in  un  attimo  ha  preso  il  cane  e  l’ha  chiuso  con  la 
femmina in una stanza, e io ero ancora lì fermo che non mi muovevo. 
Poi è tornato, il caffè è venuto su, l’abbiamo bevuto chiacchierando, e 
dopo  mezz’oretta  ho  detto  che  bisognava  che  tornassi  a  lavorare  ma 
per tutto quel tempo, per la prima volta credo in vita mia, mi passava 
per la testa quel pensiero parallelo che mi sarebbe piaciuto avere una 
di  quelle  pistole  col  silenziatore  da  killer  professionista,  e  mi  vedevo 
che  mentre  il  dobermann  mi  annusava  il  collo  in  zona  giugulare, 
pensando a cosa fare, io con l’altra mano gli puntavo la pistola sotto la 
gola e sparavo, e dopo un secondo: cervello di dobermann spappolato 
su  tutta  la  porta  della  cucina.  Dopo  dovevo  soltanto  decidere  se 
freddare  anche  il  padrone  e  tutti  gli  abitanti  della  casa  o  freddare 
soltanto la dobermann femmina e andarmene. Perché quei cani faccio 
veramente fatica a sopportarli. 
Pensiero  questo  che  poi  si  ripeteva,  sempre  in  quel  periodo,  quando 
ogni tanto al pomeriggio accompagnavo mio padre nella bassa reggiana 
a trovare un suo amico pittore, e questo signore si era ristrutturato una 
di quelle case coloniche in mezzo alla campagna e nel fienile si era fatto 
il suo studio e lui non aveva un dobermann ma uno schnauzer gigante 
e  quindi  stavi  spesso  a  chiacchierare  in  questo  studio  e  a  un  certo 
punto  arrivava  sempre  lo  schnauzer  gigante,  che  chissà  dov’era  stato 
nel frattempo, e si continuava a chiacchierare con lo schnauzer che si 
sedeva  di  fianco  al  suo  padrone  e  ti  guardava  in  faccia  e  ringhiava  a 
basso volume ma di continuo guardandoti, e il padrone gli grattava un 
po’ la testa e il cane continuava a guardarti ringhiando e anche lì, avere 
una  bella  pistola  e  puff,  che  il  cane  non  c’era  più,  e  invece,  senza 
pistola, dopo una mezz’oretta ce ne andavamo perché alla fine avevamo 
i nervi troppo lisi da mezz’ora di ringhio basso continuo del cane senza 
possibilità di sparargli un colpo in testa.
Così. Credo che nella vita pacifica che ho avuto l’occasione di condurre 
fino  a  adesso  siano  state  le  uniche  occasioni  in  cui  ho  sognato  di 
portarmi dietro una pistola e usarla.
Però  possedere  una  pistola,  ci  pensavo  ieri,  potrebbe  dar  luogo  a  dei 
problemi, e questa cosa in verità l’avevo pensata perché stavo vedendo 
quella trasmissione di Lilli Gruber e in quel caso come ospite c’era la 
deputata tal dei tali, e se io avessi posseduto una pistola, nonostante la 
mia  posizione  totalmente  non­violenta  verso  molti  fatti  della  vita, 
secondo me ci sarebbe stata una o due volte che mentre diceva certe 
cose le avrei sparato nello schermo, che non era una situazione per me 
nuova, perché io se fossero stati degli anni che possedevo una pistola 
avrei  sparato  spesso  a  molti  molte  volte  mentre  manifestavano  la 
presunta  “loro”  opinione  sullo  schermo,  e  possedendo  io  una 
televisione  del  valore  all’incirca  di  350  euro  avrei  potuto  crearmi  un 
danno  di  qualche  migliaio  di  euro  dovendo  poi  acquistare  ogni  due 
mesi  una  nuova  televisione.  E  se  per  caso,  alle  terza  televisione 
freddata, fossi riuscito a superare quel senso di vergogna che si prova 
dopo aver sparato alla propria televisione, e fossi andato a cercare un 
teleriparatore cinese per vedere se ci saltavo fuori con cinquanta euro, 
lui  vedendo  la  televisione  magari  mi  avrebbe  chiesto:  “Ma  cosa  è 
successo  a  questa  televisione?”,  io  avrei  poi  dovuto  dire:  “Le  hanno 
sparato”. A quel punto il teleriparatore mi avrebbe detto: “Non ho mai 
sentito di gente che spara a una televisione. Com’è successo?”. A quel 
punto  mi  sarebbero  rimaste  due  vie  percorribili:  la  prima  era  la 
menzogna,  per  esempio  raccontare  che  erano  arrivati  dei  ladri  e  che 
sparando  per  spaventarli,  in  modo  che  fuggissero,  per  errore  avevo 
colpito io lo schermo, oppure addirittura che l’avevano colpito loro; la 
seconda possibilità sarebbe stata dire la verità, avrei detto: “C’era una 
tale, una politica, che a un certo punto ha detto, lì in televisione, per la 
milleduecentesima  volta  una  cosa  che  mi  fa  sempre  girare  i  maroni, 
avevo  la  pistola  in  mano,  e  non  ce  l’ho  più  fatta,  ho  sparato”.  E  il 
teleriparatore  a  quel  punto  mi  avrebbe  detto  che  era  meglio  se  mi 
controllavo e sopportavo perché su una tele sparata non c’è più modo 
di  intervenire,  bisogna  comprarne  un’altra.  Che  era  poi  la  situazione 
che  sarebbe  successa  anche  quando  andavo  nel  megamagazzino  a 
comprare  la  dodicesima  televisione  in  tre  mesi,  che  il  cassiere  a  un 
certo punto dice: “Ma lei cosa ci fa con le televisioni, le mangia?”, e io 
avrei  detto:  “No,  a  un  certo  punto  mi  innervosisco  e  gli  sparo.  Lo  so 
che è da coglioni, ma è più forte di me, non riesco più a trattenermi”.


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