Roberta De Piccoli
La lista dei rifiuti
Avrebbe dovuto fare una lista dei rifiuti. Forse era l’unico atto necessario.
Ma come elencarli? Doveva procedere con una lista da inserire in una tabella
comparativa? La percentuale raggiunta sarebbe stata un dato certo per il
calcolo degli errori commessi? E questo dato le avrebbe finalmente fornito
anche tutte le conferme all’affermazione che un errore è utile a un processo
di sviluppo, o sarebbe stato semplicemente uno specchio della propria
incapacità a evolvere?
In casi come questi, l’inglese era più indicativo dell’italiano: non avevi
bisogno di dire molto sull’oggetto, perché l’azione stessa lo determinava.
Garbage, waste, rubbish, trash, litter e così via. Era tutto lì, nel significato. In
situazioni come questa, appariva più semplice capire e non c’era spazio per le
interpretazioni individuali.
Da dove, da chi, da che cosa cominciare? Agata era titubante.
Era titubante allo stesso modo in cui non riusciva a definire le sue “t” a livello
ortografico. Aveva un modo di scriverle all’interno di una parola per cui non
avrebbe mai potuto asserire con certezza se il trattino fosse presente e, nel
caso in cui lo fosse, se era in testa o in collo. Erano dettagli importanti? Per lei
era più importante scrivere che essere immediatamente comprensibile. Era
freneticamente concentrata nel raccogliere informazioni, notizie, in merito a
sé e al mondo che la circondava, agli altri. Riteneva che la comprensione fosse
un grande bluff. Tutto dipendeva dal significato che ognuno attribuiva ai
simboli e alle parole. Si sarebbe potuto parlare per ore di uno stesso
argomento per raggiungere conclusioni opposte, se la formazione e le
esperienze personali non coincidevano. Non solo, c’era l’abitudine a
interpretare, un’azione che talvolta funzionava in poesia, ma che era deleteria
nelle relazioni interpersonali.
La prima cosa che le venne in mente, e che forse poteva essere paragonata al
quel taglietto della “t” nel rapporto concluso con Joshua, erano le eggplants,
le melanzane.
Se ne stava lì, su una panca di legno unita al tavolo così come le sue “t” erano
unite alle altre lettere, seduta a pensare alle eggplants invece di godersi la
vista del lago.
Quando era nervosa, aveva l’abitudine a strapparsi le pellicine delle dita sino
a farle sanguinare. Era davvero difficile scrivere quella lista senza sporcare il
foglio d’appunti!
Spostò l’attenzione verso il paesaggio cercando di rimediare con l’effetto
cicatrizzante della saliva. La luce ingialliva il cielo che a breve sarebbe
diventato rosso sulla canoa che scivolava leggera, sui passi impercettibili di chi
cercava il suono rilassante dell’acqua, sul traffico interminabile della highway
alle sue spalle. Durò poco.
Mentre non lontano lo stridio dei gabbiani s’imponeva su tutto il resto, Agata
ricominciò a pensare alle eggplants. Pensò alla loro pesantezza quando,
tagliate a pezzetti, caddero sull’olio bollente per friggere con l’aglio e
l’origano. Un profumo di cucina mediterranea che aveva unito Joshua e lei,
nonostante le culture diverse, e che li aveva fatti sorridere appetitosamente in
un paese per entrambi lontano dal proprio.
Quella pesantezza poteva essere paragonata a quella delle oche che
atterravano sul lago per pescare? Anche il sole stava cadendo, ma pareva aver
sbagliato bersaglio: non tramontava sul lago, tramontava sulla highway,
schiacciando la coda infinita di macchine e forse non era propriamente ciò
che avrebbe desiderato fare. Poteva rifiutarsi di farlo?
L’aria della sera le scompose i capelli, rinfrescandole il viso e la double “g” di
eggplants portò a nuove considerazioni che forse nella lista non avrebbero
potuto essere contenute. Quella parola aveva arricchito il suo vocabolario
inglese e questa era una conquista! Come avrebbe potuto rifiutarsi di
mangiarle? Oltretutto il termine eggplants le piaceva di più di quello italiano,
le ricordava l’eleganza delle scarpe azzurre che era solita comprare d’estate in
attesa di un evento da ricordare. Ripiegò il foglietto, avrebbe completato la
lista l’indomani. Rincasò.
Il sole scomparve tra i fanali accesi della highway, abbandonando a se stessa
la tenda rossa della finestra dell’ultimo piano, tra l’odore stantio di fumo,
piscio e caffè che usciva da quella del basement lungo la strada e il profumo
di dentifricio di chi aspettava la streetcard al suo fianco, con tutta una serie di
altre “t” di cui tener conto.