Ab Normal
Armi (the magic power of me)
Rivoltelle
Rifletto su quello che mi ha detto il Responsabile Risorse Umane
dell’INALCA.
“Lei non la vedo mica adatto a questo posto. Soffre troppo a lavorare, è
sempre cupo, è sempre in pausa, rallenta il lavoro. Le dispiace se la
lasciamo a casa?”
“No no, si figuri” ho risposto io, con la cortesia che si usa con chi ti
chiede un’informazione per strada.
Così mi ritrovo di nuovo libero e senza prospettive, come piace a me.
Meno è piaciuto alla nonna, ancor meno alla mamma, che non hanno
detto niente e si sono limitate a scuotere la testa. Il loro silenzio è stato
l’equivalente dei “T’e un boun da gninta!” urlati in cucina, sbattendo i
piatti, quelli che un tempo la mamma buttava a terra con rabbia. Ora
che è troppo stanca di tutto sta zitta e i piatti li scaglia fuori da una sua
finestra immaginaria, in modo che non facciano più male né a lei né a
me. Ci sono molti piatti rotti immaginari intorno a casa nostra, come se
fosse esploso il magazzino di un Casalinghi. Andando a zonzo ogni
tanto ne raccolgo un pezzo, lo incollo agli altri e ripongo il tutto nella
mia credenza dei Buoni Propositi. Più di questo non so fare. Sulla
credenza, anno dopo anno, si accumula la polvere.
Taglio lungo il campo che mi riporta a casa, calciando le erbacce.
“Che armi ho per uscire da tutto questo?” mi chiedo, mentre in alto il
sole mi scalda le spalle con un tepore amichevole, quasi a dirmi di non
preoccuparmi. Con il gesto tipico dei cowboy estraggo veloce due
rivoltelle dai jeans e impallino il capo delle Risorse Umane dell’Inalca,
che cade all’indietro fra le erbacce, lasciando una scia di sangue
sospesa nell’aria. Ripongo i ferri nelle fondine dopo averli fatti roteare.
Scorro velocemente il mio curriculum e individuo, fra le tante piccole
azioni illegali, qualcosa che ha saltato il fosso, che in parte ha raggiunto
la sponda della legalità: la Cannabis. Con la nuova legge sulla canapa,
c’è la cannabis legale, quella con poco THC, sotto i limiti di legge. Ho
letto su internet di gente che ci sta facendo un mestiere...
Mi metto a correre verso casa, nel mentre faccio fuori un vitello e anche
un operaio Inalca che mi stava particolarmente sui maroni, soffio sulla
bocca delle rivoltelle e sono davanti all’ingresso delle scale del Giangi.
Suono, apro e salgo due gradini alla volta. L’idea non può che
piacergli...
Il Giangi mi guarda con la testa reclinata, come fanno i cani: attento,
cerca di capire cos’ho appena detto. O cerca di capire se aveva capito
bene.
“Puoi ripetere scusa?”
“I chelzagat alla cannabis... ma anche crostate, tortelli, tortellini, le
frappe, la zuppa inglese. La tradizione culinaria modenese alla
cannabis. Va studiato bene però, è chiaro... ad esempio, la Torta
Barozzi...”
“Ma sei di fuori? I Cannagat?”
“Parlo della cannabis legale, quella con poco THC, quella si può
vendere. Non sballa ma rilassa.”
Pausa di riflessione, il Giangi mi guarda e reclina la testa dalla parte
opposta. Poi la mette al centro e sorride.
“Hai ragione. E’ proprio una gran figata sai, Maradona delle Idee?”
“Grazie Giangi” rispondo un poco imbarazzato.
“E adesso?”
“Eh, adesso c’è da farsi il culo Giangi. Ordinare i semi giusti, trovare un
posto dove coltivare, coltivare senza far morire tutto e senza farcelo
rubare, e così via. Mettere su un banchetto bellino, non enorme ma
bellino, per cominciare a vendere in strada e vedere come butta. Per le
ricette ci pensa la nonna, vai tranquillo.”
“Beh tua nonna potrebbe stare al banchetto e fare anche da
testimonial, secondo me...”
“Figata Giangi, figaaaata!”
Sottolineo al Giangi che non voglio fare niente di illegale, quindi solo
erba legale, cibo legale. Niente guai.
“Ci rimangono poche cartucce Giangi, e dobbiamo sparacele bene, ok?”
Ok fa il Giangi, guardandosi i piedi nudi e lercetti. Poi mi sorride di
nuovo mentre scaglie di luce gli fanno zampillare gli occhi celesti.
Il Fortino
Oltre la recinzione del palazzo c’è un campetto abbandonato
seminascosto dagli arbusti e lì abbiamo deciso di ergere il Fortino.
Dopo averlo bonificato dalle erbacce, dal pattume e dalle cacche
secche, abbiamo già piantato i semi ordinati online e ora stiamo
piazzando delle assi di legno belle robuste a protezione del nostro
raccolto. L’irrigazione è un sistema a goccia, alimentato da più bacinelle
modificate piazzate in alto e riempite ogni sera da me.
Dopo qualche giorno e la stagione favorevole, le piantine sono
miracolosamente sbucate, pronte a donarsi al business del Cannagat.
Considerato il valore commerciale protetto dal Fortino, io e il Giangi si
farà la guardia a turno, notte e giorno. A supporto della security,
leghiamo una gabbia con dentro il merlo indiano della Jasmine.
“Rompe i maroni come la Jasmine, se qualcuno si avvicina” mi assicura
il Giangi. Mi basta e avanza.
Propaganda e alleanze strategiche
Passano le settimane e il caldo torrido, e verso la fine dell’estate arriva
la fioritura delle piante. Ormai la vita del Fortino è una tale routine che
essere giunti al dunque è quasi un trauma. Raccolte le cime, con
insolito amore e dedizione, le mettiamo a seccare per poi ricavarne una
sorta di farina molto fine.
Ora che ho la materia prima di base devo ottenere la collaborazione
della nonna, ancora all’oscuro di tutto (Giangi è all’oscuro che la
nonna sia ancora all’oscuro).
“Nonna, ti ho trovato un rimedio per l’insonnia.”
“Da boun, Nini? A me an funsiouna gnanc al Tavor...”
“E’ una polvere che mi ha consigliato la nonna del Giangi.”
“La Giovannina? Ma l’è ancara al mand?”
“Sì e anche lei dorme male. Dice di mettere la polverina come
ingrediente quando fai la pasta, poi vedrai come dormi...”
“Ma cus’ela Nini?”
“Ah, val’ a saver, Nonna...”
Appoggio il sacchetto sul tavolo, sapendo che la curiosità, più che la
necessità di dormire, farà il resto.
Nel giro di un giorno la nonna è entusiasta. Dopo i pasti dorme che è
una meraviglia e le fanno anche meno male la scheina e i znoc.
Ora viene la parte più difficile.
“Nonna, cosa ne dici se...” e qui attacco con l’idea del banchetto e
della raccolta fondi e dell’aiutare chi ha dolore a la scheina, e una
parte rimane a noi, si fanno su un po’ di soldini, poi si vede, potrebbe
essere un lavoro, etc. etc.
“E’t det lavoro? A jo sintii bein?”
“Sì, lavoro, potrebbe diventare un lavoro se funziona...”
“Alora pruvammia, Nini, pruvammia valà...” mi dice la nonna con gli
occhi lucidi.
“Grazie Nonna...”
“Ma l’è marijuana leghèl, Nini? Beda che me an voj brisa di guai, che
po’ im tosen via la pensioun, alora sè...”
Fisso la Nonna in silenzio. Mi chiedo come, nel suo candore di nonna
grassa e buona, sappia sempre la verità. Prima la Bamba, poi la
Marijuana...
Lascio stare e iniziamo a discutere dell’elenco delle specialità da
offrire...
“Fuoco!”
Cannagat e Tortelloni Ricotta e Maria sono i due piatti selezionati
dalla Nonna, tenendo conto dei test in cucina, del costo delle materie
prime e delle possibili aspettative della clientela. Un assaggio
famigliare, con tanto di punteggio, ci ha lasciato tutti soddisfatti. I
Cannagat, sebbene di un colore leggermente tendente al verdognolo,
risultano molto appetitosi e l’abbinamento mariapolentafagioli
rispetta la tradizione dandole al contempo un nuovo slancio esotico.
Anche i Tortelloni, con maria nell’impasto e nel ripieno, hanno retto la
prova d’assaggio e il burro e salvia esaltano il tutto. Siamo pronti.
Dopo aver lavorato tutta la notte al baracchino e ai cartelli
promozionali, la mattina seguente, domenica, debuttiamo nella grande
corte interna del condominio. Considerato che l’intero stabile,
composto di quattro edifici disposti a rettangolo, raccoglie decine di
appartamenti, possiamo farci un’idea della potenzialità della cosa.
Fra due altalene scassate il baracchino de La cucina di Nonna Maria fa
la sua figura, quanto meno perché è ancora troppo nuovo per crollare.
Abbiamo deciso di vendere sia il prodotto da cuocere che cotto, con
Nonna Maria in persona (al secolo Agata Manfredini) che armeggia fra
pentole bollenti e odore di fritto.
Dopo i primi curiosi della mattina presto, la voce si sparge e la corte
interna è letteralmente invasa da condomini di ogni età che, come un
grosso branco di formiche, si mettono in fila per l’ordinazione o
curiosano fra i cartelli che illustrano il progetto culinario. Sebbene tutti
conoscano l’Agata, il personaggio commerciale di Nonna Maria le
conferisce un’aura mitica che nessuno osa violare. Tutti la chiamano
Maria e la salutano sorridenti ma discreti.
Io sono alla cassa e raccolgo gli ordini, Giangi gestisce il vino e aiuta
con la consegna dei piatti, la mamma aiuta la nonna a cuocere o a tirare
altra pasta.
Molti mangiano seduti sulle panchine o in piedi, chiacchierano e
commentano. A un certo punto si alza un hiphip hurrà sguaiato
guidato dal Giangi ormai piuttosto alticcio, a cui rispondono tutti in
coro. Poi canzoni e barzellette in dialetto, c’è chi accenna due passi di
liscio. La prossima volta mettiamo la musica, me lo segno sul taccuino
degli ordini.
Prima dell’una abbiamo finito tutto, fra i complimenti degli avventori e
strizzatine d’occhio. L’incasso è vergognosamente alto e orribilmente
esentasse, essendo stato spacciato come vaga iniziativa di solidarietà. La
cosa non mi rende orgoglioso, ma mi sono ripromesso di dare una
parte del ricavato a qualche associazione.
Finito di sbaraccare, stanco e soddisfatto, mi concedo la libertà di
freddare quello delle Risorse Umane dell’Inalca che ho intravisto sul
tetto della Scala “C”: dopo una vertiginosa parabola si spiaccica sul
marciapiede della corte. Soffio sulla canna delle rivoltelle e le ripongo
nelle fondine.
Pace
Il pomeriggio è stata la domenica pomeriggio più tranquilla della storia
condominiale mondiale. Qualcuno è ancora addormentato sulle
panchine del condominio, quelli rimasti chiacchierano amabilmente
seduti sul pratino pelato della corte, sotto l’effetto antipsicotico dei
cannabinoidi. Lamentele e controversie sembrano sepolte chissà dove,
nel loro inconscio di condomini.
Da allora, l’esperienza viene ripetuta ogni prima e terza domenica del
mese e ci ha intervistato anche Il Resto del Carlino: “Niente più liti
condominiali grazie alla marijuana” era il titolo dell’articolo. Ogni volta
la gente è di più, vengono da fuori e si formano lunghe file. La
marijuana abbiamo dovuto comprarla perché la nostra produzione si è
volatilizzata quasi subito.
Lavoro o no, non so quanto durerà. Sento che l’inevitabile inerzia
potrebbe fagocitare tutto di nuovo, ma sto mettendo da parte un
gruzzoletto niente male per qualcosa di più serio.
Nel frattempo continuo a sparare a quello delle Risorse Umane, ormai
più per sfizio che per reali necessità di vendetta. E ogni tanto sparo a
me stesso, allo specchio, cogliendomi di sorpresa. Sparo al vecchio me,
sperando che non torni più.