Eleonora Ferrari Tassoni
206

Sono 206 e a pensarci mi fa impressione.
Io non so nemmeno se nella vita ho qualcos’altro nella stessa quantità.
Amici? Talenti? Pensieri? Sfighe?
Ma poi, guarda che devono essere organizzate bene, perché le abbiamo
tutti: grandi o piccoli, dritti e storti.
Servono tutte? A tutti?
Come sono organizzate, così tante? Come fanno a non litigare? Sono
una famiglia? Una comunità?
Come si organizzano fra loro? Sempre che non accettino
silenziosamente e a testa bassa tutto ciò che gli si impone.
Sempre a fare ciò che noi diamo per scontato, immerse in una polpa di
muscolo e sangue.
206 elementi che sostengono, cooperano, si incastrano in perpetuo
movimento.
Più di metà stanno fra mani e piedi, a ricordarci che dobbiamo fare e
andare, perché siamo questo: somma di ciò che facciamo, costruiamo,
senza darci mai tregua.
Ferme a crescere, saldarsi, rinforzarsi per poi, nel tempo regredire,
sgretolarsi.
Sinonimo della vita.
Ci insegnano che tutto si muove, si rimodella. Che le funzioni che
affrontiamo devono darci il passo.
Sono come persone: tonde, dritte, lunghe, minuscole: ognuna un
nome, ognuna un compito.
Tutte diverse, tutte fatte dello stesso: calcio, rotture, lividi, amici, giorni
parole tempo che scorre.
Parietale, orbitale, “hai visto quel tale?”: ospitano, contengono parti che
riteniamo più importanti fra crepe e placche, parti che fotografano,
recepiscono...e loro, lì ferme, come sentinelle a guardare un flusso
ininterrotto di altrui momenti.
Forse annoiate.
Ossa che ci sembrano sempre uguali ma che sanno adattarsi, che si
spostano millimetricamente per darci libertà, lasciarci fare. Insegnano
una fittizia immobilità al servizio degli altri.
Sono cassa di risonanza di battiti involontari e qualche volta aritmici, ad
abbracciare e proteggere la stessa famiglia che le nutre, a stringere ciò
che c’è di importante.
Cassaforte di un cuore che puoi spezzare, ma mai fermare.
Sono sacre, a ricordarci gli animali che eravamo, portatori di istinti su
lunghezze calcificate.
Hanno nomi strani, a volte sinonimi di tutt’altro. Li ricordiamo spesso,
spesso li confondiamo.
Femore, Rotula, Tibia, Perone...una filastrocca di passi, sfregamenti,
scrocchi, corse e incastri, a crescere fra muscoli, tendini, legamenti,
tensioni e rapporti...
Scapola, Ulna, Radio, Omero...in un racconto di balli, corse, abbracci,
strinte, trionfi alzati al cielo, stanchezze rassegnate.
Coste, dal prezzo di dolore della rottura; colonna che sostiene e a volte
curva sotto il peso di lacrime, stanchezze...
Lara, Luca, Andrea, Nicola, Pietro e Marta che invece fanno sorridere,
pensare al futuro, saltare i giorni, che mi sorreggono anche quando il
crack della rottura fa piangere.
Francesco, Marco, Enzo, che si sono spezzati, che invece non hanno
retto, che son stati dolore e delusione, mi hanno lasciata claudicante ad
avvolgermi sui pensieri, sulle suture. Ma a volte basta un gesso, e passa
tutto. Sei caduto, ti hanno fatto cadere, ma solo ti sei rialzato e sono
passate.
Stefania, Elena, Daniela, Elvira, Cinzia, Giorgia che sono ossa di
confidenze, quasi piccole ma immense nel loro stare in uno spazietto e
raccogliere senza giudizio.
Rosa e Isidoro che sono le ossa importanti, le creatrici, la famiglia, che
su 206 sono quelle che si rompono, ma non ti fanno mai cadere.
Sono tutto ciò che resta, nonostante tutto. Anche nonostante la fine.


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